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“Mi faceva lavare i genitali dei cavalli senza guanti”: a Modena processo al tenente colonnello Cati



Ieri ha preso avvio il processo con giudizio immediato nei confronti del tenente colonnello Giampaolo Cati, accusato di gravi reati, tra cui molestie, violenza privata, abuso di autorità, minacce e ingiurie. Le accuse riguardano comportamenti inappropriati nei confronti di undici sottoposti, tra cui quattro donne, durante il suo incarico come insegnante di equitazione presso il Centro ippico militare (Cim) dell’Accademia di Modena. Secondo l’accusa, i reati sarebbero stati commessi mentre Cati ricopriva le sue funzioni all’interno della struttura.



In aula hanno deposto due delle presunte vittime, assistite dall’avvocato Massimiliano Strampelli. Presenti anche rappresentanti del sindacato militari Unarma e avvocati della difesa, mentre l’imputato, in uniforme, seguiva attentamente le testimonianze. La prima testimone ha raccontato un episodio inquietante: “Ho visto che aveva il telefono in mano… la mia collega mi ha fatto presente che mi aveva scattato una foto, ma lui ha negato.” La donna, descritta come una volontaria precaria, ha rivelato di aver avuto difficoltà a completare i concorsi a causa dell’ambiente di lavoro opprimente, che l’ha portata a congedarsi. “Ero sempre al lavoro e alla fine mi sono congedata. Per la situazione? Sì. Sono andata dalla psicologa subito dopo. Lui era aggressivo,” ha aggiunto.

La testimonianza ha messo in luce anche episodi di sessismo. “Ci obbligava la mattina a ripulire il selciato, mettendo i sassolini nei sacchetti del diametro di uno, due centimetri,” ha spiegato la testimone, che ha anche riferito di commenti inappropriati riguardo al suo aspetto fisico. Le vessazioni non colpivano solo le donne; anche gli uomini venivano paragonati a cavalli e minacciati continuamente. Un altro testimone ha descritto l’atmosfera di lavoro: “Quando sono arrivato, i colleghi mi hanno detto: ‘Qua è un inferno’, c’era chi piangeva.” Ha raccontato che le minacce di Cati erano costanti: “‘Ti faccio trasferire, ti mando negli Alpini,’ minacciava.”

Un’altra testimone, la giovane V., oggi venticinquenne, ha condiviso come il suo entusiasmo iniziale per la carriera militare sia rapidamente svanito, sostituito da paura e frustrazione. “Cati mi ha rovinato l’esistenza, mi usava, mi offendeva. Mi chiedeva di spazzare e diceva guarda che scopatrice,” ha dichiarato. Ha raccontato di episodi di umiliazione, come la pulizia dei genitali dei cavalli a mani nude, e di commenti sessisti di fronte ad altri colleghi. “Lui diceva che ero una ragazza immagine, quando c’era un evento mi metteva alla porta d’ingresso del Centro per far tornare la gente,” ha aggiunto, evidenziando come il suo entusiasmo si fosse trasformato in delusione.

Un ruolo significativo è stato ricoperto dal colonnello Giuseppe Manzi, comandante dell’Accademia. V. ha raccontato di come, notando il suo malessere, Manzi le abbia chiesto cosa stesse accadendo e l’abbia incoraggiata a parlare. Questo ha aperto la strada a ulteriori testimonianze, tra cui quella del sergente maggiore L.M., che ha descritto l’ambiente di lavoro come tossico: “Cati urlava, bestemmiava, insultava. Io soffrivo di insonnia e tachicardia. Una cosa però voglio dire: questo non è l’esercito, l’esercito non è Cati.”

In aula era presente anche l’avvocato del sindacato militari, parte civile, e un legale dell’Accademia come uditore, che hanno valutato il danno di immagine subito dall’istituzione. La difesa di Cati, rappresentata dagli avvocati Guido Sola e Francesca Romana Pellegrini, ha ribadito la fiducia nella giustizia: “Nel respingere ancora una volta le accuse al mittente, confidiamo di poter continuare a difenderci serenamente davanti al nostro giudice.”



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