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Nessuna crudeltà riconosciuta per Turetta, Elena Cecchettin: “Se un’altra donna morirà sotto 75 coltellate, sarà anche colpa nostra”



È stata emessa la condanna all’ergastolo per Filippo Turetta, il giovane di 22 anni responsabile del sequestro e dell’omicidio di Giulia Cecchettin, avvenuto pochi giorni prima che la ragazza potesse discutere la sua tesi di laurea. Nonostante la brutalità del crimine, la Corte d’Assise di Venezia ha deciso di non considerare le 75 coltellate inferte alla vittima come un’aggravante di crudeltà, attribuendole invece a una presunta “inesperienza” dello studente. La decisione ha generato un acceso dibattito pubblico, alimentato anche dalle parole di Elena Cecchettin, sorella della vittima, che ha espresso il suo dissenso attraverso i social.



Secondo i giudici, l’assenza dell’aggravante della crudeltà è motivata dalla valutazione che il comportamento di Turetta non fosse premeditato nella sua violenza estrema, ma frutto di inesperienza. Questa interpretazione, però, non è stata accolta positivamente da molti, tra cui la stessa Elena Cecchettin, che ha affidato alle sue storie su Instagram un duro commento sulla sentenza. “Se nemmeno un numero di coltellate così elevato viene considerato crudeltà e viene definito ‘inesperienza’, abbiamo un problema”, ha scritto. “Perché se una persona che stila una lista operativa su come uccidere una persona per poi compierla diligentemente, riesce a fuggire dalle forze dell’ordine per una settimana per poi essere catturato solo nel momento in cui si ferma autonomamente è ‘inesperto’, allora si può dire chiaramente che non ci importa della vita umana, della vita di una donna”.

La giovane ha poi sottolineato come il mancato riconoscimento dell’aggravante rappresenti un ostacolo nella lotta contro la violenza di genere. “Se non iniziamo a prendere sul serio la questione, tutto ciò che è stato detto su Giulia, che doveva essere l’ultima, sono solo parole al vento”, ha proseguito Elena Cecchettin. Ha inoltre evidenziato che riconoscere le aggravanti non è solo una questione formale, ma un passo fondamentale per prevenire futuri episodi di violenza. “Sì, fa la differenza riconoscere le aggravanti perché vuol dire che la violenza di genere non è presente solo dove è presente il coltello o il pugno, ma molto prima. Significa che abbiamo tempo per prevenire gli esiti peggiori”, ha aggiunto.

Nel suo intervento, Elena ha voluto anche riflettere su ciò che ha portato alla morte della sorella, individuando non solo la responsabilità diretta dell’assassino, ma anche una più ampia mancanza di attenzione verso i segnali premonitori della violenza. “Sapete cosa ha ucciso mia sorella? Non solo una mano violenta, ma la giustificazione e il menefreghismo per gli stadi di violenza che anticipano il femminicidio”, ha dichiarato.

La sentenza, e in particolare le motivazioni che l’accompagnano, hanno sollevato critiche non solo da parte della famiglia di Giulia Cecchettin, ma anche da diversi osservatori e attivisti che vedono in questa decisione un pericoloso precedente. Secondo Elena Cecchettin, questo tipo di interpretazioni giuridiche rischia di mandare un messaggio sbagliato alla società. “Una sentenza simile con motivazioni simili in un momento storico come quello che stiamo vivendo non solo è pericolosa, ma segna un terribile precedente”, ha affermato. Ha poi concluso sottolineando l’importanza del ruolo della giustizia non solo nel giudicare il passato, ma anche nel prevenire crimini futuri. “Se una persona si sentirà autorizzata ad accoltellare un’altra persona 75 volte perché sa che questo fatto non costituisce crudeltà per la giustizia italiana e per tanto non avrà questa aggravante riconosciuta, dovremmo ritenerci responsabili di averlo fatto accadere”, ha scritto.



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