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Ogni notte, la stessa voce



Non sono mai stato una persona superstiziosa. Cresciuto in una famiglia dove tutto aveva una spiegazione logica — mio padre era un ingegnere, mia madre insegnava matematica — ho sempre pensato che il mondo funzionasse su cause ed effetti, su leggi precise e prevedibili. Eppure, da tre settimane, ogni notte, succede qualcosa che non riesco a spiegare.



Tutto è iniziato una domenica, verso le tre del mattino. Ero già a letto da ore, ma mi sono svegliato di colpo, con la netta sensazione che qualcuno mi avesse chiamato per nome. Non un urlo, non un sussurro. Una voce normale, quasi neutra, ma pronunciata all’improvviso, come quando qualcuno ti tocca una spalla per attirare la tua attenzione.
«Luca.»

Mi sono tirato su nel letto, col cuore che batteva forte. Ho aspettato, cercando di capire se avevo sognato. Niente. Solo il silenzio, rotto dal rumore dell’impianto di riscaldamento. Ho pensato fosse stato un residuo di qualche sogno o un rumore esterno interpretato dal cervello come una parola. Mi sono rimesso giù, un po’ infastidito ma non davvero spaventato.

Il giorno dopo non ci ho pensato più. Lavoro come grafico freelance, e lunedì ero immerso in una consegna urgente. Ma quella notte, alla stessa ora, è successo di nuovo.
«Luca.»

Questa volta ero certo di non aver sognato. Ho acceso la luce, mi sono guardato intorno, ho controllato che la porta fosse chiusa. Ho perfino aperto l’armadio — un gesto ridicolo, lo so — e ho tirato un’occhiata sotto il letto. Niente.

Per tre notti consecutive la cosa si è ripetuta, sempre alla stessa ora: 3:07. Sì, ho controllato l’orologio. E sempre quella stessa voce. Non era maschile o femminile in senso stretto: era piatta, senza emozione, come se pronunciare il mio nome fosse un’operazione meccanica.

La quinta notte, ho deciso di registrare. Ho messo il telefono in modalità registrazione vocale e l’ho posizionato sul comodino. La mattina dopo, ho trovato un file audio di otto ore. Ho fatto scorrere velocemente… e l’ho sentita.
«Luca.»
Chiara, nitida, uguale a come la sentivo io. Il file però aveva catturato qualcos’altro: subito dopo il mio nome, c’era un suono di fondo. Non un rumore meccanico, ma… qualcosa di simile a un respiro. Profondo, lento.

Ho inviato l’audio a Marco, un mio amico tecnico del suono. Mi ha richiamato il pomeriggio stesso:
— Da dove viene questa registrazione? — mi ha chiesto, con una voce strana.
— Dal mio comodino, stanotte. Perché?
— Ho analizzato il picco sonoro. La voce è vicinissima al microfono, ma il respiro… sembra provenire da almeno due metri di distanza.

Non sapevo cosa dire.

Ho iniziato a dormire con la luce accesa. Non ha fatto alcuna differenza. Ogni notte, alla stessa ora, la voce mi svegliava. Ho provato a restare sveglio fino alle tre per coglierla in flagrante. Risultato? Due notti di fila mi sono addormentato pochi minuti prima delle tre, e mi sono svegliato puntualmente al suono di quella parola.

La settimana successiva ho invitato Chiara, la mia ex, a dormire da me. Non le avevo detto niente, non volevo sembrare paranoico. Verso le tre, si è svegliata di soprassalto e mi ha guardato.
— Hai sentito anche tu? — le ho chiesto.
— Sì… qualcuno ti ha chiamato. Ma… da dove?

Non sapevo rispondere.

Poi sono iniziati i sogni. Sempre lo stesso: mi trovo in un corridoio buio, senza porte, con il pavimento che sembra bagnato. Da lontano, una luce fioca. Cammino verso di essa, ma non arrivo mai. E poi, sempre alla fine, quella voce: «Luca.»
Mi sveglio sudato, con la gola secca, e trovo l’orologio che segna 3:07.

Ho iniziato a perdere giornate di lavoro. Non riuscivo a concentrarmi. Ho consultato un medico, che mi ha prescritto ansiolitici leggeri. Non hanno cambiato nulla. Anzi, in qualche modo, la voce è diventata più… vicina. Come se fosse appena sopra il mio orecchio.

Una sera, disperato, ho scritto “voce nel sonno stessa ora” su Google. Ho trovato forum assurdi, gente che parlava di presenze, di spiriti guida, di proiezioni astrali. Sciocchezze, mi dicevo. Ma poi, in un blog semi-abbandonato, ho letto una frase che mi ha gelato:
“Se una voce ti chiama sempre alla stessa ora, non rispondere mai. È un invito.”

Ieri notte, però, qualcosa è cambiato.

Mi sono svegliato non al suono della voce, ma a un silenzio ancora più innaturale. Nessun rumore della strada, nessun ronzio del frigorifero. Ho aperto gli occhi e ho visto che la porta della camera era aperta. Io la chiudo sempre. Sempre.
Ero immobilizzato, come paralizzato. La voce è arrivata, ma stavolta non ha detto solo il mio nome.
«Luca… vieni.»

Non potevo muovermi, ma ho visto — o forse ho sognato di vedere — una figura in piedi sulla soglia. Non nitida, come fatta di ombra e luce insieme. Sembrava aspettarmi.

Quando finalmente ho potuto muovere le gambe, la figura era sparita. Ma stamattina, sulla soglia, c’era una piccola pozzanghera. Non d’acqua: un liquido scuro, denso.


Non so più cosa pensare. Stasera sono seduto al tavolo, con il registratore pronto. Ma so che non servirà.
Perché non sta solo chiamandomi.
Sta aspettando che io risponda.

E il peggio è che…
credo che lo farò.



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