Dopo l’abbordaggio da parte della marina israeliana delle imbarcazioni della Global Sumud Flotilla, gli attivisti a bordo sono stati arrestati e destinati al carcere di massima sicurezza di Ketziot, situato nel deserto del Negev, a sud-ovest di Be’er Sheva. Secondo quanto stabilito dalle autorità di Tel Aviv, coloro che non accetteranno l’espulsione dal Paese saranno processati per ingresso illegale da un tribunale speciale composto da funzionari del Ministero degli Interni, e non da un tribunale ordinario.
Tra i circa 200 attivisti fermati ci sono 40 cittadini italiani, come confermato dal ministro degli Esteri Antonio Tajani. L’operazione, approvata dal capo della polizia Dany Levi, ha visto impegnati circa 600 agenti e si è conclusa con l’intercettazione delle navi dirette verso la Striscia di Gaza e il loro successivo scortamento al porto di Ashdod. Qui, gli attivisti vengono presi in consegna dalla polizia israeliana e trasferiti al penitenziario di Ketziot, dove verranno trattenuti fino alla convalida del fermo e alle successive procedure di espulsione.
Il piano reso noto da Israele prevede che, una volta portati ad Ashdod, i fermati vengano identificati e poi trasferiti nella struttura detentiva. Da lì, chi accetterà l’espulsione sarà rimpatriato nei prossimi giorni, mentre chi si opporrà verrà giudicato dal tribunale speciale. Sul tema, il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz ha dichiarato che “la provocazione della Flotilla si è conclusa”, ribadendo che i rimpatri dovrebbero iniziare da venerdì.
Mentre alcune fonti riportano che alcune imbarcazioni sarebbero riuscite a eludere l’intervento israeliano e a dirigersi verso le coste palestinesi, dalla Turchia sarebbero già pronte a partire altre 45 navi per sostenere la Flotilla. La tensione resta quindi alta, con nuovi sviluppi possibili nelle prossime ore.
Il carcere di Ketziot
Il penitenziario di Ketziot, dove sono stati destinati gli attivisti, è uno dei più grandi e controversi di Israele. Situato nel deserto del Negev, ospita prevalentemente detenuti palestinesi ed è stato più volte oggetto di denunce da parte di organizzazioni per i diritti umani.
Secondo l’ong israeliana B’Tselem, Ketziot sarebbe “un vero e proprio inferno”, dove i detenuti subiscono violenze sistematiche e maltrattamenti. Alcuni ex prigionieri hanno riferito di essere stati percossi con bastoni e strumenti metallici, costretti a restare nudi e umiliati, obbligati persino a salutare una bandiera israeliana appesa alle pareti. Testimonianze parlano di pianti, urla e di prigionieri gettati uno sopra l’altro, in condizioni disumane.
Le accuse di abusi hanno contribuito a rendere Ketziot uno dei simboli più discussi del sistema carcerario israeliano. Nonostante le smentite ufficiali, le organizzazioni internazionali continuano a monitorare la situazione all’interno della struttura.
Prospettive e tempistiche
Secondo quanto riferito dal ministro Tajani, cinque funzionari dell’ambasciata italiana si recheranno al centro di detenzione per verificare le condizioni dei connazionali fermati. Le prime visite dovrebbero svolgersi nelle prossime ore, anche se le procedure potrebbero subire ritardi a causa delle celebrazioni di Yom Kippur e dello Shabbat.



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