Si è svolta ieri una nuova udienza del processo che vede coinvolta Caryl Menghetti, accusata di aver ucciso il marito Diego Rota nel gennaio 2024 nella loro abitazione a Martinengo, in provincia di Bergamo. La donna, dimessa poche ore prima dal reparto psichiatrico dell’ospedale di Treviglio, avrebbe agito in preda a un grave stato di alterazione mentale. Gli esperti incaricati del caso concordano sul fatto che Menghetti, al momento del delitto, non fosse in grado di intendere e di volere.
Attualmente, la 46enne si trova in una struttura protetta a Castiglione delle Stiviere, mentre la figlia della coppia, ancora minorenne, è stata affidata ai familiari. Durante l’udienza, la donna ha risposto alle domande dei giudici della Corte d’Assise, che hanno voluto approfondire alcuni aspetti legati alle sue paure e ossessioni, tra cui quella per la pedofilia.
Interrogata in merito alla sua esperienza lavorativa presso un chiosco nel parco Suardi, Menghetti ha dichiarato: “No, ma avevo paura quando la mia bambina si allontanava. Una volta si era nascosta sotto lo scivolo e mi ero spaventata perché non la vedevo più”. Le sue preoccupazioni si erano acuite dopo aver perso un figlio durante la gravidanza, trasformandosi progressivamente in ossessioni che l’avevano portata a un ricovero psichiatrico già al secondo compleanno della figlia.
La donna ha spiegato: “Avevo paura che corresse qualche pericolo per la pedofilia, che qualcuno potesse farle del male. Diego non c’entrava niente, erano paure mie. La mia paura era che venisse presa dai pedofili, qualsiasi persona”. Questi timori, secondo il racconto fornito in aula, si erano poi rivolti anche contro il marito. Tuttavia, Menghetti non ricorda i dettagli dell’omicidio: “Stavo male, ero terrorizzata. Mi ricordo fino al ricovero, volevo rimanere ricoverata perché non mi sentivo bene, l’ho detto a mio marito, che invece ha firmato per portarmi a casa”.
La giornata dell’omicidio è stata ricostruita durante il processo: quella mattina, Menghetti, che soffriva da tempo di disturbi psichici, aveva avuto allucinazioni. Preoccupato per il suo stato, il marito l’aveva accompagnata all’ospedale di Treviglio, dove era stata dimessa con una terapia farmacologica. Tuttavia, nelle ore successive le sue condizioni erano peggiorate drammaticamente. La sera stessa, convinta che il marito volesse fare del male alla loro bambina, la donna lo aveva aggredito con due coltelli.
Nel corso dell’udienza è stato analizzato anche il rapporto tra i coniugi. Menghetti ha ammesso di aver pensato alla separazione: “Mi volevo separare, non stavo più bene con lui”. Ha inoltre raccontato di frequenti litigi legati a questioni economiche e lavorative. Un elemento inedito è emerso grazie alla testimonianza del perito psichiatrico Sergio Monchieri, secondo cui la donna avrebbe riferito di aver subito violenze fisiche e morali in passato, episodi che avrebbe poi rimosso dalla memoria.
Il processo continua a far luce su una vicenda complessa e drammatica, in cui le problematiche psichiche della donna sembrano aver avuto un ruolo centrale. I giudici dovranno ora valutare se le condizioni mentali di Menghetti al momento dell’omicidio possano escludere o diminuire la sua responsabilità penale.
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