Il fotoreporter fiorentino Niccolò Celesti ha deciso di lasciare la missione della Global Sumud Flotilla, esprimendo preoccupazioni riguardo alla mancanza di trasparenza e rispetto all’interno del gruppo. Attualmente si trova a Creta, in un porticciolo vicino a Lerapetra, e ha intenzione di tornare in Italia per continuare un’altra missione umanitaria in Ucraina, prima di organizzarsi per una nuova iniziativa a Gaza. Durante il suo passaggio dall’imbarcazione Family, Celesti ha chiarito le sue intenzioni a Thiago Avila, membro del comitato direttivo, con il quale ha condiviso un momento di amicizia prima di scendere a terra.
Parlando della sua decisione, Celesti ha affermato che non era più allineato con le idee del comitato direttivo, segnalando che si erano create troppe divergenze. Ha sottolineato che non è stato l’unico a lasciare la missione, poiché altri condividevano le sue preoccupazioni. “Non vuol dire che non credo nella missione, anzi vorrei ancora essere a bordo ma ho fatto un passo indietro proprio per non creare tensioni all’interno del gruppo”, ha detto. Ha descritto la sua scelta come “una decisione sofferta e ponderata per giorni”.
Le divergenze che hanno portato alla sua uscita riguardano principalmente l’approccio alla missione. Celesti ha spiegato che, prima della partenza, durante i training a Catania, era stato chiaramente comunicato che l’obiettivo non era quello di entrare nelle acque territoriali di Gaza, poiché queste sono considerate palestinesi, anche se controllate da Israele. “Sono state divergenze ma con lo stesso obiettivo finale, aiutare il popolo palestinese”, ha dichiarato. Tuttavia, ha aggiunto che non era disposto a rischiare la vita senza un’analisi seria delle modalità di approccio alla missione.
Lo slogan della missione, “rompere l’assedio”, era percepito da Celesti come una provocazione per smuovere le coscienze del mondo, piuttosto che un invito a entrare nelle acque di Gaza. “Certo, non mi aspettavo di farmi una vacanza, il rischio era quello di un eventuale arresto in acque internazionali”, ha affermato. Ha sottolineato che, pur non riconoscendo la sovranità di Israele in quelle acque, la legge internazionale non funziona in quella regione e che entrare in acque controllate dall’esercito israeliano sarebbe stato pericoloso.
Celesti ha spiegato che ha iniziato a capire che l’obiettivo della missione era diverso da quello inizialmente comunicato durante la navigazione. “La lampadina mi si è accesa durante la navigazione, quando ho scoperto che queste linee rosse che ci erano state assicurate prima della partenza, in realtà non erano più le stesse”, ha detto. Ha anche menzionato le dichiarazioni del ministro della Difesa Crosetto e del presidente della Repubblica Mattarella, che hanno raccomandato di cercare soluzioni diplomatiche per garantire la sicurezza dei partecipanti. “Queste parole hanno influito perché per me trovare una soluzione deve includere ancora tutte le possibili strade”, ha spiegato.
Riguardo ai rischi per gli attivisti, Celesti ha avvertito che c’è il pericolo che la situazione possa degenerare. “C’è il rischio che possa scapparci il morto, la situazione potrebbe sfuggire di mano”, ha dichiarato. Anche se si riuscisse a rompere il blocco e a entrare nelle acque di Gaza, la distribuzione degli aiuti potrebbe trasformarsi in un caos, mettendo in pericolo sia i volontari che i civili palestinesi.
Quando gli è stato chiesto se avesse avuto paura, Celesti ha risposto che più che paura, ha sviluppato una visione diversa della situazione. “Io avrei fatto diversamente e l’ho anche proposto con una lettera. Le missioni umanitarie vanno fatte anche con un po’ di raziocinio”, ha affermato. Ha suggerito di trattare per seguire la consegna degli aiuti a Cipro fino al confine con Gaza, ma la sua proposta non è stata presa in considerazione.



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