Un recente studio condotto tra Italia e Stati Uniti ha dimostrato l’efficacia di una terapia combinata chemioterapica e immunoterapica nel trattamento del carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) in stadio III avanzato. Questo approccio ha permesso di rendere operabili tre pazienti su quattro, aprendo nuove possibilità per coloro che fino ad ora non avevano opzioni chirurgiche disponibili.
La terapia è stata studiata su un gruppo di 112 pazienti con tumori polmonari localmente avanzati, ovvero estesi ai tessuti circostanti o ai linfonodi regionali, ma non ancora metastatizzati ad altri organi. Il trattamento prevedeva l’uso di inibitori del checkpoint immunitario PD-1/PD-L1 in combinazione con chemioterapia a base di platino. I risultati hanno mostrato una risposta completa alla terapia nel 29% dei casi e una significativa riduzione del tumore nel 42,2% dei pazienti.
I ricercatori hanno evidenziato che questa combinazione ha facilitato la resezione chirurgica in modo significativo e ha portato a un controllo della malattia a lungo termine in molti dei pazienti trattati. Come riportato nello studio pubblicato su Jama Oncology e ripreso dalla Società europea di oncologia medica (ESMO), i pazienti sottoposti a intervento chirurgico hanno registrato una sopravvivenza libera dalla malattia di 52,6 mesi.
Secondo gli studiosi, questa nuova strategia terapeutica rappresenta un’importante innovazione per i pazienti con NSCLC borderline resecabile o non resecabile. Tuttavia, sottolineano che saranno necessari ulteriori studi prospettici per validare completamente i risultati. “La selezione ottimale dei pazienti rimane cruciale e dovrebbe coinvolgere un team multidisciplinare per valutare la resecabilità e il potenziale beneficio caso per caso”, hanno dichiarato i ricercatori.
L’innovazione è stata sviluppata in centri d’eccellenza situati sia in Italia che negli Stati Uniti, tra cui importanti università e ospedali. Lo studio si è svolto tra febbraio 2018 e gennaio 2024, coinvolgendo esperti di oncologia medica e chirurgica. Gli autori dello studio hanno spiegato che l’obiettivo principale era quello di migliorare le possibilità di intervento chirurgico nei pazienti con carcinoma polmonare localmente avanzato, una categoria che spesso presenta prognosi sfavorevoli.
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