Una chiesa gremita, un silenzio irreale, e poi quel suono inconfondibile, spezzato e profondo: il fischietto che Matteo Formenti portava sempre con sé. Così, tra le lacrime e l’incredulità, la comunità di Costa Volpino, in provincia di Bergamo, ha dato l’ultimo saluto al bagnino di 47 anni trovato morto pochi giorni dopo la tragedia che lo ha segnato profondamente: l’annegamento di un bambino che si trovava sotto la sua supervisione.
Un uomo stimato e silenzioso, conosciuto da tutti
Matteo non era soltanto un bagnino. Era un punto di riferimento per chi frequentava la piscina comunale e i centri sportivi della zona. Preciso, attento, rispettato. Nessuno poteva immaginare che un giorno, proprio lui, potesse crollare sotto il peso di un dolore così grande. E invece, dopo la morte del piccolo, avvenuta durante il turno di servizio, qualcosa in lui si è spezzato.
Nei giorni seguenti, chi lo ha incrociato ha raccontato di uno sguardo assente, svuotato, e di un silenzio che faceva più rumore di qualsiasi parola. “Si sentiva responsabile, nonostante non lo fosse”, ha detto un collega con gli occhi lucidi. Matteo è stato trovato morto poche ore dopo, lasciando una lettera che non è stata resa pubblica, ma che – secondo indiscrezioni – rivelerebbe un senso di colpa profondo e una volontà di “espiare”.
Il parroco: “Matteo non aveva colpe. Ma ha deciso di punirsi”
Durante la cerimonia funebre, celebrata nella chiesa madre del paese, il parroco ha scelto parole semplici, ma cariche di significato: “Matteo non ha avuto colpe, ma ha deciso di punirsi per un dolore che non riusciva a gestire. Questo gesto non è una condanna, ma una richiesta d’aiuto che non siamo riusciti a cogliere in tempo.”
Sulla bara chiara, una corona di girasoli. Tra i banchi, colleghi in uniforme con la fascia nera al braccio, ragazzi con gli occhi bassi, e tante famiglie. Una di loro ha sussurrato: “Era sempre gentile con i bambini. Sorrideva, spiegava le regole con pazienza. Si vedeva che amava il suo lavoro.”
Al termine del rito, all’uscita del feretro, la folla ha salutato Matteo in un modo che ha commosso anche chi non lo conosceva: decine di fischietti sollevati al cielo, il simbolo di quella divisa che indossava con orgoglio e responsabilità. Un gesto corale, silenzioso e struggente. Alcuni amici, nel momento del commiato, hanno anche indossato la maglietta con il logo della piscina dove lavorava. Nessun applauso, solo lacrime e sguardi.
Il sindaco del paese ha annunciato, con voce spezzata, l’intenzione di istituire una borsa di studio a nome di Matteo Formenti, destinata ai giovani che si formeranno come bagnini o operatori di sicurezza in acqua. “Sarà il nostro modo per trasformare il dolore in qualcosa che guarda al futuro – ha detto – perché Matteo non sia ricordato solo per il tragico epilogo, ma per tutto il bene che ha seminato”.
Una morte che interroga tutti: dolore, fragilità e umanità
Il caso di Matteo Formenti lascia aperti molti interrogativi. Sul peso delle responsabilità nei lavori a contatto con la vita altrui. Sulla fragilità emotiva che spesso rimane nascosta dietro i gesti più normali. E sulla necessità di ascoltare, osservare, e tendere la mano prima che sia troppo tardi.
I genitori del bimbo annegato, presenti in chiesa, non hanno rilasciato dichiarazioni. Ma si sono avvicinati ai familiari di Matteo con un abbraccio lunghissimo. In quel gesto, forse, tutto il dolore condiviso, tutto ciò che le parole non riescono a dire.
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