La vicenda di Orit Lev Marom ha sollevato un acceso dibattito pubblico, in particolare a causa della sua associazione con il “Campo 34” di Nardò, un centro di transito per profughi ebrei nel dopoguerra. Questo legame ha alimentato preoccupazioni su una possibile nuova frontiera di insediamento, contribuendo a rendere il messaggio del suo progetto ancora più controverso. La situazione è stata ulteriormente complicata dalle dichiarazioni del sito Pressenza, che ha messo in evidenza come Yoel Ben Assayag, socio della Marom, sia «noto per il sostegno al genocidio di Gaza».
Tali affermazioni hanno intensificato la percezione di un disegno politico e imprenditoriale che ha avuto ripercussioni dirette sulla reputazione di Orit Lev Marom. In breve tempo, la rete si è riempita di insulti e accuse, scatenando una vera e propria tempesta di ostilità. La situazione è stata aggravata dalla dichiarazione di Marom, che ha descritto la Puglia come “la nuova terra promessa per le famiglie ebree”, evidenziando le opportunità di coltivare terre tra ulivi e paesaggi rurali.
Orit Lev Marom, 54 anni, ha denunciato di essere stata vittima di un’ondata di odio antisemita, con un incremento di minacce, inclusi messaggi di morte. Ha deciso di rivolgersi alla magistratura per tutelarsi. Il suo avvocato, Carlo Gervasi, ha cercato di chiarire la questione, sostenendo che la controversia sia stata alimentata da una traduzione errata. Secondo lui, la parola “colony” è stata interpretata in modo negativo, come “colonia” in un contesto coloniale, mentre l’intento originale del post era quello di promuovere investimenti in attività turistiche e commerciali in una terra accogliente.
Le conseguenze per Marom sono state significative e pesanti. Nella denuncia presentata presso il Tribunale di Lecce, ha raccontato di aver visto sospesi i rapporti con i suoi collaboratori, alcuni dei quali hanno scelto di allontanarsi per timore di ritorsioni. Ha anche rivelato che la padrona di casa ha manifestato incertezze nel continuare a affittarle l’appartamento, temendo di essere vista come sostenitrice del presunto progetto coloniale. Inoltre, Orit ha notato che clienti e potenziali acquirenti, con cui stava trattando, si sono improvvisamente allontanati, impauriti dai commenti diffamatori che circolavano online.
Questa situazione ha portato a un blocco totale delle attività della sua azienda, la Coral 37, e a perdite economiche notevoli. Orit Lev Marom si è dichiarata vittima di una campagna di odio scaturita da un malinteso linguistico. Tuttavia, il caso ha già acceso un dibattito più ampio, che non si limita alla sua iniziativa imprenditoriale, ma tocca temi delicati come il rapporto tra turismo, investimenti stranieri e identità culturale in un territorio fragile come il Salento.
La questione centrale ora è se l’interpretazione negativa delle parole utilizzate da Marom derivi effettivamente da un errore di traduzione o se ci sia qualcosa di più profondo. La magistratura di Lecce avrà il compito di esaminare la questione e determinare le responsabilità legate a questa controversia.
La reazione della comunità, sia online che offline, ha dimostrato quanto sia sensibile il tema degli insediamenti e degli investimenti in territori storicamente complessi. Questo episodio ha messo in luce non solo le tensioni esistenti, ma anche la fragilità delle relazioni tra le diverse comunità presenti in Puglia e il delicato equilibrio tra opportunità economiche e rispetto delle identità culturali.



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