Aldo Montano e Olga Plachina: In Indonesia abbiamo visto la morte in faccia



Sono vivi perché hanno una buona stella lassù, come d’altra parte tutti quelli che sono scampati alla furia della terra indonesiana che domenica 5 agosto si è squarciata inghiottendo 142 anime, dato provvisorio, ma nessuno saprà mai quante sono esattamente. Aldo Montano e la moglie Olga Plachina si sono salvati anche perché all’ora in cui è scoppiato il finimondo a Gili Trawangan, l’isola su cui trascorrevano le vacanze, stavano cenando all’aperto. «Un boato spaventoso e interminabile.



Mai sentita una cosa del genere, mi vengono i brividi solo a pensarci», ha dichiarato lo schermidore raggiunto al telefono dall’agenzia Ansa. «Eravamo a cena in hotel», continua il campione olimpionico, «fortunatamente all’aperto, quando abbiamo sentito il boato e una lunga sequenza di forti scosse sismiche. Per fortuna Olga e io non eravamo in camera, visto che una parte dell’albergo è crollata». Panico, lenito solo dal pensiero che la loro bimba di poco più di un anno, Olympia, fosse al sicuro in Russia, terra di Olga. La prima cosa che hanno fatto è stata contattare la Farnesina, che ha fornito loro i numeri dell’ambasciata a Jakarta e del consolato a Bali. Ma ovviamente il telefono suonava a vuoto.

Tutto intorno, l’apocalisse: il sisma di magnitudo 6,9 con epicentro nell’isola di Lombok, ha colpito almeno 600 mila persone e raso al suolo più di 13 mila abitazioni seminando distruzione anche nella vicina Bali e nelle isole Gili, a nord-ovest, appunto. Per questo i soccorritori temono che la cifra delle vittime nell’arcipelago sia destinata a salire. Qui, dove intere zone sono senza elettricità e acqua potabile, molti villaggi attendono ancora gli aiuti, i feriti vengono curati a cielo aperto perché l’ospedale di Lombok è stato danneggiato dalle scosse: un altro terremoto – il 29 luglio – aveva causato la morte di sedici persone. «Ce la siamo dovuta vedere da soli, dopo l’iniziale sgomento e il totale senso di impotenza», ricorda ancora Montano. «Ci siamo arrangiati insieme ad altri quattro italiani seguendo solo l’istinto di sopravvivenza». Nel buio totale del blackout seguito alla scossa più forte, il gruppo cerca di raggiungere una collina di una cinquantina di metri in prossimità della spiaggia, cercando di illuminare quelle stradine sconosciute con le sole luci degli smartphone. «Avevamo ben presenti nella memoria le immagini dello tsunami in Giappone e di quello in Thailandia ed eravamo terrorizzati dall’idea di poter morire investiti sulla spiaggia da un’onda», dice Montano. La notte lascia spazio all’alba, ma la luce non fa che rendere più chiara la drammaticità della situazione.

«Le piccole barche usate per spostarsi da un’isola all’altra sono state prese d’assalto. Alcuni tour operator cercavano di dividere i gruppi, ma, all’arrivo di un’imbarcazione, scattava la ressa disperata per salire a bordo e lasciare l’isola», continua il re della sciabola. Che, recuperate alcune cose dalla stanza in hotel, è riuscito finalmente a lasciare l’isola di Gili Trawangan per raggiungere l’aeroporto di Lombok, dove migliaia di turisti stranieri evacuati fissano in silenzio il monitor delle partenze dei voli. Aspettando quello che li porterà via dall’inferno conosciuto nel paradiso delle vacanze.



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