Sergio Marchionne: La malattia del manager ci ricorda che siamo mortali



Questo articolo in breve

Speriamo in una guarigione per Sergio Marchionne anche se sappiamo che non è facile, perché è in gravi condizioni. Di sicuro però è calato di colpo il sipario sul suo ruolo pubblico in quel mondo che una volta era la Fiat degli Agnelli: «Sergio non tornerà più», ha scritto John Elkann, presidente di Fca, in una lettera ai dipendenti. Al di là, dunque, dell’evoluzione clinica del suo caso, abbondano i commenti e le considerazioni sulla fine dell’era Mar-chionne nella Fca.



Ma c’è una verità che – in questi casi – resta sempre «non detta», perché è scioccante e mette tutti noi con le spalle al muro. Ha balenato quasi di straforo nelle parole di John Elkann, mentre il Cda provvedeva alla repentina e imprevista sostituzione di Marchionne al vertice della società: «Sono profondamente addolorato perle condizioni di Sergio» ha detto Elkann, «si tratta di una situazione impensabile fino a poche ore fa, che lascia a tutti quanti un senso di ingiustizia».

Una situazione impensabile lino a poche ore fa. È questo che ha traumatizzato tutti. Eppure la vita è così, anche se ci impegniamo con tutte le forze a dimenticarlo perchéilpensiero ci annichilisce. Ogni istante camminiamo su uno strapiombo sull’abisso e gran parte delle cose che facciamo – diceva Pascal – ci servono a distrarci dal pensiero della nostra incombente mortalità e della nostra precarietà. Rimuoviamo sempre e cerchiamo di dimenticare questo pensiero.

Ungaretti rappresentò così la condizione dei soldati nelle trincee: «Si sta come/ d’autunno/ sugli alberi/ le foglie». Ma siamo tutti soldati di una guerra che si chiama vita. Tempo fa ho visto un’emozionante testimonianza di Jim Caviezel, l’attore americano che ha interpretato Gesù nel film di Mel Gibson, The Passion. Per Jim quel film è stata un’esperienza che gli ha cambiato la vita. Ha poi attraversato sofferenze e prove, ma la sua fede è diventata granitica. Parlando davanti a migliaia di persone (in quella conferenza) esordì così: «Non so se lo sapete, ma la vostra morte è imminente». Poteva sembrare un espediente retorico per catturare – in modo scioccante – l’attenzione degli ascoltatori, eppure nessuno si alzò dicendo: «Ma va là, che sciocchezze stai dicendo per far colpo su di noi?»

Nessuno obiettò e nessuno potrebbe farlo. Perché in effetti è vero. I saggi dicono che il pensiero della precarietà della vita è l’inizio della sapienza. Le nostre nonne non avevano studiato, ma si erano laureate all’università della vita e -avendo attraversato tanti dolori e tante prove – sapevano e insegnavano queste verità profonde: adesso sei vivo e forte, pochi secondi dopo non ci sei più o non hai più coscienza di te.

Ne ho fatto personalmente esperienza con una figlia di 24 anni, nel fiore della sua  primavera, piena di splendore e di salute: immaginate una bella fanciulla fra amici, che parla, sorride, poi un istante, il tempo di dire «non sto bene» e il crollo per terra con il cuore fermo. Di colpo. Può capitare anche a 24 anni. Non è affatto necessario essere vecchi o malati. Si può essere ricchi o poveri, giovani o anziani, famosi e potenti o del tutto irrilevanti e sconosciuti.

Nella Bibbia un salmo recita: «Come l’erba sono i giorni dell’uomo,/come il fiore del campo, così egli fiorisce./ Lo investe il vento e più non esiste/ e il suo posto non lo riconosce». Nessuno si accorge della solitudine degli altri, né della loro infelicità, soprattutto quando sono potenti e ricchi e sembra non abbiano i drammi delle persone comuni. Ma l’attimo in cui il destino bussa alla porta è per tutti il momento in cui emerge la grande solitudine. E nulla, né il potere, né la ricchezza, ci soccorre.

Certo, in genere avere grandi disponibilità economiche permette di curarsi molto bene e consente anche di superare gravi problemi di salute, mettendo in campo mezzi straordinari. Marchionne, col suo lavoro di manager, di certo non ha problemi economici e potrà avere il massimo delle cure. Ma la ricchezza non cambia realmente il destino umano. Che è lo stesso per tutti.

Elkann ha avuto un’altra espressione che colpisce. Ha detto che la vicenda di Marchionne «lascia a tutti quanti un senso di ingiustizia». È vero. È la condizione umana che ci appare ingiusta, perché siamo esseri fatti per la felicità, per la vita, e ci appare innaturale e violento dover soccombere sotto il dolore, il male e la morte. Infatti nella Bibbia il Libro della Sapienza proclama: «Dio non ha creato la morte/ e non gode per la rovina dei viventi./ Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza». Qualcosa di terribile e oscuro è avvenuto che ha avvelenato la creazione. E ora la vita appare all’uomo come un’illusione fugace, un sogno ingannatore e vano: «Vanità delle vanità. Tutto è vanità» (Qoèlet). Appare così. Eppure non è vero neanche questo.

Il 27 giugno scorso Marchionne, entrando in clinica per l’operazione alla spalla destra, non sapendo che tutto sarebbe precipitato improvvisamente, aveva detto ai suoi collaboratori: «Starò via solo pochi giorni». Nessuno sospettava quello che sarebbe accaduto e oggi si tramandano queste parole con sconcerto, pensando a quanto è stato beffardo il destino che aspettava il manager. Eppure c ‘è una strana e misteriosa verità in quelle parole di Marchionne, una di quelle profonde verità che involontariamente gli uomini talvolta si trovano a dire senza saperlo.

In un certo senso, anche se la sua situazione clinica dovesse avere l’esito peggiore, è verissimo che starà via solo pochi giorni. E questa è la consolazione di tutte le persone che perdono i loro cari. Con gli occhi della fede cristiana perfino la morte – che è l’addio definitivo – viene vinta e trasformata: è solo un arrivederci di pochi giorni. «Morte dov’è la tua vittoria?». È questo il grido trionfale degli esseri umani toccati dalla grazia del cristianesimo.
E così tutto, proprio tutto, cambia di segno. Don G iussani diceva che per l’uomo naturale la vita è come un malinconico stare a guardare, sulla riva del mare, una barca con le persone e le co se amate che si allontanano sempre più all’orizzonte fino a sparire. Ma dopo la resurrezione di Cristo e la sua vittoria è tutto rovesciato: è come stare sulla riva e veder avvicinare sempre di più le p ersone e le cose amate, che riavremo per sempre nella felicità.
Così l’esistenza terrena diventa il tempo della grande scelta per la salvezza.



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