Shock in crociera, nave in balia della tempesta con onde oltre 15 metri. Il video



Una maestosa nave da crociera battente bandiera Bahamas si imbatte in una burrasca spaventosa con onde alte oltre 10 m. Il video che possiamo vedere mette i brividi. La grande tempesta di ghiaccio e neve che si è scagliata sugli Stati Uniti qualche giorno fa ha provocato molti disagi nell’entroterra ma nell’oceano è stata devastante per tutti coloro che ne hanno assaggiato la potenza.



Un’enorme nave da crociera piena zeppa di turisti oltre 4000, si è trovata nel bel mezzo della burrasca con condizioni marittime proibitissime, facendo affrontare passeggeri un viaggio che non dimenticheranno mai.

La nave Norwegian Breakaway era partita dalle vacanze, giunti quasi al termine della crociera durante l’ultima notte di navigazione si è imbattuto nella burrasca con molteplici disagi e mare sbarrato con onde oltre 10 m. I passeggeri impauriti si sono scagliati contro il personale di bordo accusandoli rilasciati per ore senza nessuna informazione o rassicurazioni su quanto stava accadendo.

ecco il video:

Affrontare una burrasca con una barca da crociera è difficile. Affrontarla con la costa sottovento, alle difficoltà si somma la tensione. Ma quando i venti soffiano oltre i 60 nodi le condizioni divengono proibitive. Molti giornalisti e navigatori hanno parlato di questo problema, hanno scritto libri e articoli, hanno spiegato le teorie, hanno descritto come comportarsi. In qualche caso senza avere mai vissuto una tale esperienza.

Quando si tratta di testimonianze dirette, i racconti fanno riferimento a situazioni specifiche, affrontate con scafi realizzati con materiali e progetti diversi, da skipper diversi per formazione e esperienza. È quindi difficile, salvo per quanto riguarda alcune elementari norme di sicurezza, stabilire regole e tecniche valide per ogni situazione. Io non mi sento in grado, e non mi compete, di pronunciarmi ed emettere sentenze su quello che si deve e quello che non si deve fare quando le situazioni diventano critiche. Tuttavia posso darvi qualche suggerimento e raccontarvi come io ho affrontato una tempesta forza undici. La forza dell’uomo È importante ricordarsi che di solito è l’uomo, e non la barca, che cede per primo. Ed è proprio in virtù di questa certezza, che preferisco evitare di parlare di barche più o meno resistenti, di vele più o meno adatte o di andature.

Mi limito, attraverso il racconto delle mie esperienze, a darvi pochi suggerimenti di comportamento, a mio avviso fonda- mentali, non solo per superare una tempesta, ma anche una burrasca con venti poco più forti del solito, venti che si possono incontrare durante tutto l’anno anche in Mediterraneo. Preferisco ricavare dalla mia esperienza una serie di consigli, che magari non si trovano nei manuali di navigazione, ma che potranno tornare utili nel percorso di formazione di un marinaio. Panico e supponenza: i peggori nemici La prima regola è banale ma imprescindibile: evitate di trovarvi in mezzo a una burrasca, oggi le previsioni meteorologiche ve lo consentono. Ma se il cattivo tempo arriva all’improvviso, la cosa più importante è quella di evitare il panico e anche la convinzione ottimistica di essere in grado di poter affrontare qualsiasi tempo.

Si tratta di atteggiamenti pericolosi. Si deve invece preparare noi stessi e tenere la barca in efficienza e ordine. Dopo di che, fare quello che ho sempre fatto: attendere che passi. Le situazioni meteorologiche cambiano con velocità. In più di 35 anni di navigazione da diporto, non mi è successo molto spesso di dovere pensare a lungo a come uscire da una situazione di difficoltà. Spesso si è risolta da sola. La prima burrasca Il primo vento forte, che per la sua velocità poteva essere classificato burrasca, mi è capitato a metà degli anni 80: superava allegramente i 50 nodi, ma era una tramontana, e mi trovavo in vicinanza delle coste Liguri. Ricordo ancora oggi che il fiocco montato a quell’epoca – la randa era ben stivata sotto un copriranda – era troppo grande, la soluzione per me, e per tutti gli altri usciti quella domenica, era stata semplice: togliere la vela di prua, accendere il motore e percorrere lentamente le poche miglia che ci separavano dal porto. Eravamo molto eccitati per quel vento forza nove, pensavamo di aver superato la prova del fuoco, e che d’ora in poi avremmo potuto affrontare qualsiasi burrasca. Ma non era così: avevamo affrontato un vento potente, ma senza fetch. Al largo sarebbe stata tutta un’altra cosa. Avevamo vissuto una burrasca, certo, ma in condizioni ben diverse da quelle che avremmo trovato a poche miglia dalla costa con un vento anche inferiore. Nel 1997 un’esperienza ben diversa.

Durante la prima crociera in solitario da Gibilterra verso le Azzorre, mi aveva sorpreso una bassa pressione, con venti che arrivavano da sud- ovest ed erano a livello di burrasca. A differenza di quando mi ero trovato in Liguria, dovevo affrontare anche l’onda lunga e ripida dell’Atlantico nord orientale. Il mare era vera – mente formato, almeno così sembrava a me che ero un novellino delle crociere d’altura. Proseguire verso le Azzorre era diventato impossibile, non potevo fare altro che mettermi alla prima cappa della mia vita e attendere. Rientrare a Gibilterra, dopo aver fatto 900 miglia mi sarebbe dispiaciuto, ne mancavano 150 a Ponta del Gada. Dopo altre ventiquattro ore, ero ancora là in mezzo, a dondolare e cavalcare le montagne russe, con il tempo che non si placava, e una situazione meteorologica statica, con una bassa pressione stazionaria proprio sopra le Azzorre. Alla fine non ho avuto altra scelta: ho dovuto girare la prua e rientrare verso il Portogallo: una corsa tutta in discesa, in poppa per ben 550 miglia.

Credo di essere stato l’unico velista, partito da Gibilterra e arrivato a Lagos, che dista 190 miglia, ad averci impiegato ben 14 giorni, e percorso più di 1.400 miglia. Un primato poco invidiabile, ma un’occasio – ne che mi ha permesso di conoscere bene le qualità nautiche della mia barca. Ero dispiaciuto ma non deluso. Ero felice di essere arrivato, e pensavo che quello che avevo provato e appreso non era stato inutile. Molti anni dopo avrei scoperto quanto fosse stato prezioso. Analizzando a posteriori la situazione, posso dire che si trattava proprio di brutto tempo. È probabile che i venti superassero i 40 nodi, con onde oltre 5 metri, che frangevano su fronti abbastanza larghi; ma era una burrasca con la quale si poteva convivere, con onde che certamente non rischiavano di far fare la capriola alla barca. I 50 urlanti esistono davvero Superata anche quella seconda burrasca, per mia fortuna sono passati molti anni e ho affrontato diverse traversate dell’Atlantico, prima di essere sorpreso da quella tosta, quella che normalmen te si vede solo nei film di serie B e che si spera di non dovere mai incontrare. Ed è infatti così. La maggioranza dei velisti non si avventurerà mai in latitudini estreme, quelle dei cosiddetti 40 ruggenti e 50 urlanti. Purtroppo a me è capitata, non navigando al nord, ma nel profondo sud del nostro pianeta. La barca al momento della partenza era già ormeggiata in Brasile, ed era grande il mio desiderio di andare a visitare le isole antartiche.

Ero partito da Salvador de Bahia per le isole Falklands. Dopo un periodo di soggiorno nella loro capitale, Port Stanley, ho diretto la prua del Maus a est sud est, verso la South Georgia, situata a 55 gradi sud: un’isola che, anche durante i mesi estivi, è coperta al 70% di neve e ghiaccio. Dopo una breve sosta mi ero rimesso in mare, volevo risalire lungo il meridiano 34° ovest verso nord e tornare ancora nei tropici. Sono zone dove la velocità media del vento è vicina ai 30 nodi, dove per più del 20% del tempo imperversano bufere superiori a forza otto. Però anche là esistono giornate belle, con brezze che quasi quasi non fanno muovere la barca. Momenti di pausa, seguiti immancabilmente da bufere che, per la loro violenza, non fanno più avanzare le barche, se non nella direzione opposta a quella desiderata nel tentativo di fuggirle. Mi ero proprio infilato in una di quelle zone, cacciato nei guai con le mie mani, e nessuno me lo aveva chiesto. Se me la dovevo prendere con qualcuno, era solamente con me stesso. Appena partito dalla South Georgia, già dopo tre giorni, mi aveva dato il suo benvenuto. Il mare montava a vista d’occhio, il vento ululava nel sartiame e la barca, invece di andare avanti, tornava lentamente verso sud. Come avrei saputo solo pochi giorni dopo, non era nient’altro che un assaggio di quello che entro breve tempo mi sarebbe piombato addosso.

Nella risalita verso nord, e arrivato a 44° Sud, il mio amico meteorologo Rafael di Las Palmas, me l’aveva annunciata: mi aveva detto che una bassa, profonda e veloce, con venti molto forti, oltre 60 nodi da nord, e mare con onde medie superiori a 25 piedi (7,5 m) d’altezza, era in avvicinamento. L’avevo saputo in anticipo, ma non avevo la possibilità di entrare in un porto, o di dirigermi verso una costa per ridossarmi. La terra più vicina si trovava a più di 400 miglia a sud ed era ancora l’isola da dove ero dovuto partire per l’avvicinarsi dell’autunno e dell’inverno australe. Altra possibilità, era rappresentata dalle Falklands a 1000 miglia ad ovest, tutte contro vento e mare, e una terza, ben più remota, l’arcipelago di Tristan de Cunha a 1.000 miglia a nord est della mia posizione.

Non era possi – bile rifugiarsi, ma, in compenso, avevo a disposizione più di 20 ore per preparare la barca e attendere quello che era inevitabile. In una tale situazione il momento peggiore, quando non c’è scampo, è l’attesa. Un lasso di tempo cosi lungo, anche se accompagnato da lavori urgenti, frenetici e indispensabili per rendere la barca meno vulnerabile, diventa un’eternità. Ansie e aspettative, preoccupazioni e perché no, anche curiosità, si accavallano: si pensa come affrontare la situazione, s’immagina quello che deve arrivare. Finché finalmente il barometro inizia a scendere con sempre maggior velocità. Nel mio caso era sceso da 1.025 a 992 mbar, e il vento iniziale di 25 nodi aveva iniziato la sua corsa verso l’alto, 35, 40, 50, 55 e oltre 60 nodi, e il mare? Impossibile descrivere lo spettacolo, grandioso e pauroso, che si presentava agli occhi. Ho visto e fotografato frangenti lunghi 200 m, chiazze di schiuma grandi come un campo da pallone, altezza delle onde che non si vorrebbe vedere né augurare ai peggiori nemici, ben oltre i 10 metri. In quel contesto, seguire una tattica descritta nei manuali di navigazione era per me impossibile: l’Antartico con i suoi ghiacciai, iceberg e grawler era sottovento, e pertanto scappare a sei o sette nodi, come facevano i grandi navigatori, non era proprio raccomandabile. Mettermi alla cappa secca era pericoloso, perché rischiavo di farmi travolgere dalle onde che sarebbero arrivate al traverso; rischiavo anche di scarrocciare più velocemente degli eventuali iceberg alla deriva, andando incontro così a una collisione con ghiaccio duro come l’acciaio.

Issare un pezzettino di randa non era possibile, ci sarebbe voluto una quarta mano oppure la randa svedese, avrei migliorato l’angolo al vento, ma mi sarei esposto al mare di traverso. Mettere in mare l’ancora galleggiante, mi avrebbe frenato troppo, e avrei adottato la misura solo come azione in extremis, e solo se la costa sottovento si fosse avvicinata troppo velocemente. Il mio timore infatti, riducendo troppo la velocità, era di fare la capriola come accaduto ad altri navigatori. Nel mio caso, seguendo l’istinto e l’esperienza, ho fatto l’unica cosa che ritenevo giusta: barra tutta all’orza e fiocco da tempesta cazzato a ferro: toccava alla barca sbrigarsela da sola. In questo modo avanzavo lentamente con il vento al giardinetto con prua 135° rispetto alla sua direzione. Si trattava in realtà di una deriva verso sud che mi ha fatto perdere un centinaio di miglia in quasi 48 ore. Salvando però la barca e la pelle. Visto a posteriori, e considerando le mie condizioni, non posso criticarmi: avevo ridotto le probabilità di essere sommerso da qualche onda più cattiva di altre riducendo al minimo il rischio di rovesciarmi e di causare danni seri.

Il fenomeno del turismo da crociera Da un punto di vista diacronico, utilizzando una descrizione sintetica, si può affermare che il crocierismo è un fenomeno turistico che affonda le sue radici nel trasporto passeggeri transatlantico sviluppatosi a partire dalla prima metà del XIX secolo. Pur essendo un fenomeno di nicchia rispetto al turismo globale esso si configura come un settore in crescita che, soprattutto negli ultimi dieci anni, ha conosciuto una rapida evoluzione facendo registrare un significativo incremento nel numero di compagnie e di navi, nel numero di passeggeri (quasi raddoppiati), nel numero di rotte e porti coinvolti, nella quantità e qualità dei servizi. Al fine di rendere più chiaro l’ambito oggetto di questo studio, nel presente capitolo si propone una visione d’insieme che contestualizza il crocierismo entro coordinate storico-geografiche, descrive sinteticamente l’industria e disegna, per linee generali, la sua dimensione in un’ottica quantitativa ed economica. Senza alcuna pretesa di esaustività si ripercorre la storia del turismo da crociera dalle sue origini, legate alla navigazione dei primi battelli a vapore, al suo consolidarsi nella prima metà del Novecento, fino all’emergere del mercato di massa nel secondo dopoguerra per poi arrivare alle soglie del nuovo millennio. Quindi si fornisce un breve sguardo sull’industria crocieristica contemporanea da un punto di vista economico. Infine, vengono presentate delle ‘immagini’ ricavate dai dati quantitativi più recenti che tentano di ‘fotografare’ con una diversa profondità di campo la situazione globale fino a focalizzare, via via, l’attenzione sulla situazione locale: dapprima viene preso in considerazione il contesto mondiale, poi quello continentale (americano ed europeo), quindi quello euro-mediterraneo per terminare con uno sguardo al contesto locale siciliano e a quello di Palermo in particolare.

Crociere a Venezia: porto di partenza preferito dagli italiani per le crociere nel 2017

L’industria dalle navi da crociera sta attraversando un periodo molto fortunato. Stando ad alcuni dati divulgati da CLIA (Cruise lines International Association), la grande organizzazione internazionale per le compagnie da crociera, la quantità di questo settore nei viaggi in forte crescita, si stima che nel 2018 saliranno in una nave di crociera circa 27,2 milioni di passeggeri a differenza di 25,8 del 2017.

Anche i dati relativi all’Italia sono molto positivi; nel 2017 il Mediterraneo si è collocato al secondo posto tra le preferenze dei turisti di tutto il mondo, solo dietro ai Caraibi, con quasi il 20% delle prenotazioni, e cinque porti italiani sono risultati tra i dieci più frequentati dai viaggiatori internazionali (Civitavecchia, Venezia, Napoli, Genova e Savona).

Uno studio realizzato da “Crocierissime”, il primo sito italiano interamente dedicato al mondo delle crociere, relativo alle vacanze sulle navi nel 2017, ha rivelato dati molto interessanti. Ad esempio, contrariamente a quanto si possa comunemente pensare, la crociera non è una vacanza scelta solo dai passeggeri più anziani, anzi, sono sempre più i giovani crocieristi italiani che anno dopo anno si imbarcano sulle navi da crociera per sperimentare “nuove” tipologie di vacanze.

Il target dei crocieristi sta cambiando in relazione agli anni passati, sono sempre più i ragazzi che salgono a bordo delle navi da crociera, certamente questo è un effetto dei prezzi applicati delle compagnie di crociera che sono sempre più sensibili alle esigenze delle famiglie. Interessante è anche la percentuale in crescita della fascia tra i 25 e 30 anni, prima più interessati ad altre tipologie di vacanza; in questo caso l’offerta di spettacoli sempre più cool e dedicati ad un pubblico più giovane ha certamente giocato un ruolo importate. Rimangono stabili i crocieristi che fanno parte delle fascie più alte di eta, gli affezionati sanno gia quello che significa lasciarsi coccolare in crociera e non vogliono rinunciarvi. La distribuzione tra i generi è molto simile, anche se le donne sono in leggero vantaggio.

Secondo i dati analizzati, Venezia è stato il porto di partenza più richiesto dagli italiani, e in generale, le crociere nel Mediterraneo Occidentale sono risultate le preferite, ma anche i porti di Savona, Genova e Civitavecchia hanno ben figurato durante l’anno che si è appena concluso.

Porto di partenza preferito/più prenotato
1. Venezia
2. Savona
3. Genova
4. Civitavecchia
5. Bari

Le crociere più richieste
1. Mediterraneo Occidentale
2. Mediterraneo Orientale
3. Nord Europa
4. Caraibi
5. Dubai

Andando a analizzare le grandi compagnie, la maggior parte dei crocieristi italiani ha privilegiato MSC Crociere e Costa Crociere:

Compagnie di crociera più ricercate/prenotate
1. MSC Crociere
2. Costa Crociere
3. Royal Carribean
4. Norwegian Cruise Line
5. Holland

Infine, secondo Crocierissime, gli italiani prenotano le loro crociere in media 123 giorni prima della data di partenza e la vacanza preferita è quella di una settimana, più di quella di 3-5 giorni o di oltre 7 giorni. Per quanto riguarda i servizi offerti a bordo maggiormente richiesti dai passeggeri, i più importanti sono risultati i pacchetti con le bevande incluse, sia per i pasti che per il resto del soggiorno, e le escursioni dai porti di scalo. Tra le dotazioni sulle navi, invece, le piscine riscaldate, la palestra e la spa.

Francesco Manna, Direttore Commerciale di Crocierissime, ha dichiarato: “Non ci sorprende che gli italiani, come altri crocieristi europei, scelgano Venezia come porto d’imbarco. La Serenissima ha così tante attrazioni che è perfetta per trascorrervi qualche giorno in più e ammirare i suoi canali, i palazzi e le chiese prima di imbarcarsi. Inoltre, sono tante le città affascinanti che si affacciano sull’Adriatico, come Ancona, Bari, Brindisi, Dubrovnik, Spalato, un motivo in più che spinge a fare una crociera sulle sue acque. Da Crocierissime non possiamo che continuare a incoraggiare tutti gli italiani a scegliere questo tipo di vacanza per tutto il 2018 con i propri amici e familiari”.

Il porto di Venezia ha chiuso il 2017 con risultati operativi e finanziari migliori rispetto alle aspettative ma ciò nonostante le acque sono agitate all’interno di Vtp (Venezia Terminal Passeggeri), la società terminalistica controllata da Veneto Sviluppo (finanziaria della Regione Veneto) e da Venezia Investimenti (società partecipata dal Gruppo Carnival, Msc Crociere, Royal Caribbean, Global Ports e APV Investimenti). Il 2017 si è chiuso con 1,6 milioni di passeggeri movimentati, in crescita rispetto agli 1,58 milioni del 2015, mentre la società ha mandato in archivio l’ultimo bilancio chiuso al 31 maggio 2016 con un fatturato risalito a poco meno di 33,4 milioni di euro (dai 33 dell’anno precedente) e un risultato ante imposte positivo per 4,7 milioni (dai 3,8 milioni del 2015).

Ad agitare le acque in laguna è il solito tema caldo del limite di accesso alle grandi navi fino a 96 mila tonnellate di stazza alla stazione marittima, ulteriormente alimentato dalle indiscrezioni di stampa secondo cui il ministero dei Trasporti starebbe lavorando (pare insieme a Msc Crociere) all’ipotesi di un secondo terminal crociere a Marghera. Sandro Trevisanato, presidente di VTP, ha detto a MF Shipping & Logistica: «Non ritengo veritiere le indiscrezioni di stampa emerse e non è solo una nostra considerazione ma anche dei nostri azionisti. Tutti gli stakeholder concordano sul fatto che la stazione marittima attuale nel breve termine non sia sostituibile e un eventuale secondo terminal crociere sarebbe dunque complementare a quello attuale.

Detto ciò, anche come VTP abbiamo sempre ritenuto fin dal 2007 la validità di un progetto per una stazione marittima 2 con una o due banchine per meganavi a Doganetto, in località Fusina, perché le navi più grandi di ultimissima generazione (per intenderci quelle più lunghe di 340 metri) in marittima non possono entrare per i limiti del bacino d’evoluzione». Protagonista di questo scatto in avanti per un nuovo terminal passeggeri a Marghera pare sia soprattutto il gruppo Msc che ha ricevuto le critiche di Trevisanato per essersi mossa in maniera autonoma e in contrasto con gli interessi della società VTP di cui fa parte. Trevisanato ha poi aggiunto: «Marghera pensiamo possa essere utile a una soluzione per le mega navi con l’esigenza imprescindibile di non andare a soffocare il traffico commerciale.

Questa è la nostra posizione, poi chiaramente le decisioni in tema di pianificazione spettano all’Autorità portuale. I risultati conseguiti negli ultimi anni ci fanno ritenere che VTP sia una realtà imprescindibile qualunque assetto dovesse raggiungere il porto crocieristico di Venezia. Anche se facessero una o due banchine a Marghera coordinate con l’attuale stazione marittima». A proposito di previsioni per il 2017, complice anche il limite autoimposto dalle compagnie crocieristiche, il totale dei passeggeri movimentati in Laguna scenderà da 1,6 a 1,4 milioni e di conseguenza anche i risultati finanziari sono previsti in diminuzione. Vtp vanta partecipazioni azionarie anche nei terminal crociere di Ravenna, Catania, Brindisi e Cagliari e ha sempre gli occhi puntati anche sui porti croati di Pola e Zara. È stata invece definitivamente accantonato il progetto di una partnership con il porto turco di Istanbul per una nuova stazione marittima.

Al fine di fornire un’indicazione di massima sull’effetto economico di possibili alternative al passaggio delle grandi navi davanti a San Marco, il rapporto si conclude con una stima dell’impatto dell’ipotesi estrema, anche se non prevista dal decreto Clini-Passera, del mantenimento del solo traffico crocieristico collegato alle navi di stazza inferiore alle 40 mila tonnellate. I principali risultati dello studio possono essere così sintetizzati. Grazie al richiamo turistico della ciità e alla favorevole situazione logistica (accessibilità auotostradale, aeroportuale, ferroviaria), Venezia è andata sempre più affermandosi come homeport: dalla ricerca emerge che l’88,6 % dei passeggeri riguarda navi che utilizzano il porto di Venezia come stazione di imbarco e sbarco dei crocieristi. Questa caratteristica determina una domanda per beni e servizi locali certamente maggiore di quella che si avrebbe se le navi si limitassero a transitare nel porto veneziano.

Lo sviluppo della crocieristica veneziana è essenzialmente imputabile alla crescita del traffico relativo a navi di stazza superiore alle 40.000 tonnellate. Nel 2012, il 93,6% dei passeggeri sono giunti in città su questo tipo di navi. La domanda per l’acquisto di beni e servizi, il canale principale attraverso cui la crocieristica influenza il resto del tessuto economico, è stimata in 436 mln. di euro, di cui 283,6 (il 64,9%) per beni e servizi locali. La maggior parte della spesa per beni e servizi locali proviene dai crocieristi che si imbarcano o sbarcano a Venezia, che si stima effettuino spese per circa 207 mln. di euro, il 72,9% della spesa locale totale. La parte rimanente è divisa tra le compagnie di navigazione, il 16,4%, e gli equipaggi, il 10,6%. La rilevanza della spesa dei crocieristi spiega perché il 68% dell’intera spesa locale si rivolga al settore dei servizi turistici (alberghi, ristoranti), commercio e trasporti.

Dall’analisi delle interdipendenze settoriali emerge che l’effetto della spesa “locale” sul valore aggiunto nazionale è quantificabile in 397 mln di euro, con un moltiplicatore di 1,4 rispetto alla spesa diretta, mentre l’effetto sul valore aggiunto locale è stimabile in 221,6 mln. di euro. L’impatto occupazionale è stimabile in 7.473 unità di lavoro equivalenti a livello nazionale, mentre è di circa 4.255 unità di lavoro equivalenti nell’area veneziana. Il valore aggiunto locale rappresenta il 3,26% del PIL del comune di Venezia e lo 0,96% di quello della provincia. L’occupazione rappresenta il 4,1% degli occupati totali del comune di Venezia e l’1,19%, di quelli dell’intera provincia. Nell’ipotesi estrema in cui fosse permesso l’accesso in laguna solamente alle navi di stazza inferiore alle 40 mila tonnellate si produrrebbero effetti locali rilevanti sia in termini di prodotto che di occupazione.

Questo scenario è stato analizzato assumendo un aumento del 20% dei passeggeri imbarcati su tali navi e un aumento della spesa media per crocierista del 50%, considerando il particolare profilo dei crocieristi su queste navi. I risultati indicano che il numero di crocieristi a Venezia si ridurrebbe del 90% rispetto ai valori registrati nel 2012 e la spesa per beni e servizi locali si attesterebbe attorno ai 40 mln. di euro (contro gli attuali 283,6 mln.). La ricerca stima che in questo scenario il valore aggiunto sarebbe di 31 mln. di euro e l’occupazione si ridurrebbe a circa 600 unità, con una perdita stimata di 190,6 milioni di euro di valore aggiunto e di 3.661 unità di lavoro. Ciò corrispondebbe rispettivamente, al 2,8% del PIL e al 3,52% degli occupati del comune.

Il crocierismo è uno dei pochi fenomeni turistici che, negli ultimi dieci anni, ha fatto registrare una significativa crescita a livello mondiale. Se si osserva la sua dimensione quantitativa, i dati relativi al 2010 indicano che si è verificato quasi un raddoppiamento nel numero di passeggeri rispetto al 2000, reso possibile da una rapida crescita sul versante dell’offerta. L’industria crocieristica, nel suo complesso, ha saputo trovare un buon compromesso fra innovazione e tradizione creando una rete di connessioni di successo. Ma il crocierismo non è interessante solo per le sue dimensioni o per le sue implicazioni economiche. Come tutti i fenomeni turistici costituisce un oggetto di studio complesso e diversificato che necessita di uno sguardo multidisciplinare per essere compreso a fondo. Per diverse scienze sociali costituisce senz’altro un ambito d’indagine prolifico, seppure ancora poco esplorato. Questo lavoro si propone di affrontare uno studio qualitativo del turismo crocieristico utilizzando un approccio misto, antropologico e semiotico, per analizzare alcuni dei suoi aspetti simbolici più ricchi di implicazioni ai fini di una comprensione più profonda del fenomeno. In particolare, nel corso di questo lavoro si prenderanno in esame due dinamiche fondamentali attraverso le quali si articola e definisce la produzione simbolica del crocieristi: il sistema di interazione (sia a bordo che a terra) e il sistema di rappresentazioni (nell’alternanza fra produzione e ricezione). Le tre parti di cui si compone questo studio non sono concepite come separate. Si tratta per lo più di una divisione utile a comprendere, per aree tematiche, il lavoro svolto, dal momento che le questioni sollevate e i rimandi interni al testo attraversano in diverse occasioni l’intero studio. Il primo capitolo cerca di fornire un quadro d’insieme del crocierismo, con una parte iniziale utile ad inscrivere entro coordinate storico-geografiche il fenomeno e una parte dedicata alle sue implicazioni economiche e alla dimensione quantitativa, con una messa a fuoco progressiva dal globale (situazione mondiale, situazione americana ed europea) al locale (area mediterranea, Sicilia, Palermo). Il secondo capitolo entra nel vivo delle questioni implicate da un approccio antropologico e semiotico, fornendo un sintetico quadro di riferimento disciplinare per poi stringere il focus sulle modalità teorico-epistemologiche proprie dei due approcci e sui paradigmi di riferimento utilizzati in questo lavoro. Il resto del capitolo si articola proponendo l’analisi di alcune elementi dell’advertising crocieristico (soprattutto pubblicità pubblicate a stampa) e, infine, alcune riflessioni sulla scorta dell’esperienza di campo effettuata a bordo e a terra che fanno luce sulle modalità attraverso cui i crocieristi mettono in forma una narrazione personale e collettiva della loro esperienza, chiarendo anche motivazioni e scelte che informano la loro condizione temporanea di ‘passeggeri’. Nel terzo capitolo infine vengono discusse alcune delle dinamiche risultanti dall’intersezione dei due sistemi (interazione e rappresentazioni) utilizzando come possibilità epistemica l’esperienza maturata durante la ricerca sul campo. Più precisamente si affronta il problema della ridefinizione delle categorie di spazio e tempo a bordo; della reciproca interazione fra ritualità e marketing; dei modi e dei contesti attraverso cui i passeggeri producono e riproducono parte delle loro rappresentazioni; dell’interazione a terra fra i crocieristi sbarcati temporaneamente nelle località-destinazione e la comunità che vive nei luoghi visitati.



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