Lorenzo Amoruso, il dramma e l’aborto di Manila Nazzaro: “una tragedia”



Questo articolo in breve

Quando abbiamo scattato queste immagini, l’11 ottobre, Manila aveva appena ricevuto l’anello, pegno d’amore, da Lorenzo Amoruso. Era raggiante, felice, faceva mille progetti e ci aveva confidato che speravano di avere un bimbo. «Non sono più una ragazzina, ho 43 anni, ho già due figli, ma il nostro amore è grande e stiamo cercando di averne uno nostro», diceva.



Un paio di settimane dopo quel desiderio ha trovato conferma in un test di gravidanza, «fatto già il primo giorno di ritardo, insospettita da qualche problemino che avvertivo allo stomaco», ci racconta ora Manila. «Ero a Roma da sola, Lorenzo era impegnato a Firenze per la raccolte delle olive.

Quando è apparso l’esito positivo mi sono sentita il cuore scoppiare di gioia. Ho inviato la foto del test a lui con scritto: “Amore, il miracolo è avvenuto”. Per noi era così, un miracolo. Lui era incredulo, emozionato. Ci provavamo da un paio di mesi, e il dono di una nuova vita diventava realtà», sospira Manila, scostando i capelli biondi dal viso e svelando occhi pieni di malinconia. «Il nostro sogno è tramontato dopo nove settimane.

Durante la seconda visita di controllo il ginecologo ci ha detto che non sentiva più il battito del cuoricino. Non voleva trarre conclusioni affrettate: ipotizzava che forse il calcolo fosse sbagliato, che la gestazione fosse iniziata dopo, che ci volesse più tempo.

Lorenzo e io ci siamo guardati: avverto ancora oggi il senso di smarrimento. Abbiamo pianto, ci siamo abbracciati. Lui ha capito subito che qualcosa non era andato per il verso giusto, che non c’era nulla da fare, mentre io non volevo arrendermi.

La mia pancia era già un pochino tonda, il seno era cresciuto, avevo nausee. Ma, soprattutto, io quella piccola vita la sentivo dentro e non smettevo di crederci». Un altro sospiro e prosegue: «La visita successiva mi ha fatta sprofondare in un dolore acuto. La gravidanza si era interrotta ».

Cala un silenzio rispettoso, Manila è una donna forte ma la tristezza è ancora troppa. E fa male. «Quando ho scoperto di essere incinta non ho mai pensato al rischio di un aborto spontaneo. Piuttosto mi interrogavo sulla salute, sul fatto che il bimbo fosse sano e che tutto andasse per il meglio, come era stato per i miei primi due figli, Francesco Pio, di 14 anni, e Nicolas, di 9 [nati da una precedente unione, ndr]».

Due ragazzi affettuosi, legatissimi alla mamma, per lei fonte di energia e coraggio. «A loro non avevamo ancora detto che avrebbero avuto un fratellino o una sorellina. Volevamo dare loro la notizia dopo aver superato i canonici tre mesi. Ma ho dovuto fare il raschiamento in ospedale e, quindi, gliel’ho dovuto spiegare, trovando le parole meno drammatiche per descrivere il senso di vuoto che avevo dentro».

Manila ripercorre quei momenti che resteranno indelebili nella sua vita. «Anche se la gravidanza era arrivata solo a 9 settimane, avevo una camera gestazionale importante e il raschiamento è stato inevitabile. Quando mi sono risvegliata mi sentivo fragile e impotente.

Sapevo di poter contare sull’amore di Lorenzo, dei miei ragazzi, ma quel piccino, che noi pensavamo e sognavamo fosse una bambina, lo sentivo già così tanto che sapere di non averlo più dentro di me mi annientava».

Poi racconta: «In ospedale, nel letto accanto, c’era una ragazza nella mia stessa situazione. Confrontarmi con lei mi ha dato forza e slancio: come personaggio pubblico ho sentito il dovere e la responsabilità di raccontare ciò che stavo vivendo. Perché, come me, sono tante, tantissime le donne che si trovano a vivere questa dolorosa situazione.

Parlarne con trasparenza, sincerità e coraggio spero faccia sentire meno sole. Io penso che una gioia condivisa è una gioia che raddoppia, un dolore condiviso si dimezza. Non bisogna farsi abbattere: dopo un aborto spontaneo può esserci una nuova gravidanza.

Dopo la tempesta torna il sole». Lorenzo e Manila il sogno di famiglia lo cullano ancora. Con prudenza. «Vorremmo riprovare. Tra un po’, quando si potrà. Confesso che, però, abbiamo paura di rivivere lo stesso dolore. Un dolore che si cancella solo stando uniti.

A volte ci domandiamo: “Ma se ci succede di nuovo, sapremo superarlo ancora?” Il nostro amore è profondo, per questo ci diciamo: “Se Dio vorrà, il nostro bimbo arriverà”». Il 31 dicembre avete pubblicato sui vostri profili social un bacio che sembrava solo benaugurante, ma sotto avete spiegato di aver perso il vostro bimbo.

«Sai quanta gente mi ha scritto per ringraziarmi? Donne di 70 anni che hanno pianto di nuovo dopo avermi letta, ragazze giovani che hanno vissuto quel dramma e poi sono diventate mamme di bambini bellissimi dei quali mi inviano le fotografie. Si chiamano bimbi arcobaleno, sono il tramite tra la terra e il cielo. Perché è così: dopo un periodo buio, arrivano loro e illuminano tutto».



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