Albano Carrisi e il rapporto con Vladimir Putin



Al Bano la chiama «normale umanità» e lo pensa nel profondo, non per fare il modesto. «Attraverso mia cugina Pina, che ha da sempre rapporti con l’Ucraina, ho accolto da me a Cellino San Marco una mamma con suo figlio di 7 anni, e due dei suoi studenti, di 15 e 18 anni.



La loro realtà quotidiana è devastata dalla guerra, per questo voglio offrirgli la possibilità di avere un tetto sotto il quale ripararsi, del cibo, un posto sicuro dove poter stare. Se li guardo mi accorgo che i loro sorrisi durano poco, si accendono ma poi si spengono subito per quel peso che si portano addosso per ciò che stanno vivendo.

Mi consola, però, sapere che da oggi nel cielo vedranno solo stelle, sole e nuvole, non più grappoli di bombe e fumo». Normale umanità, ma anche una grande nobiltà d’animo. «Non c’è nulla di straordinario nel mio gesto: c’è solo la voglia di tendere la mano e, nel mio piccolo, di fare qualcosa di concreto verso chi si è visto l’esistenza stravolta da un momento all’altro. Queste quattro persone fanno parte di un gruppo di profughi che stanno arrivando qui, dalle nostre parti.

Sono colpito dall’ondata di umanità che vedo e vivo in queste ore a Cellino e nei paesi limitrofi. Ognuno fa quel che può, anche il più piccolo gesto ha un valore immenso». Dietro questa guerra c’è la volontà di Putin, che conosci bene: qualcuno azzarda sia persino tuo amico. «L’ho conosciuto, sì. Ma amicizia è una parola grossa e per me ha un valore. Se fosse stato un amico gli avrei detto: “Ferma gli spari, stoppa le bombe, lascia parlare le armi dell’intelligenza, dell’umanità, della diplomazia, del rispetto”.

Ti dirò di più: fino a poche settimane fa avrei scommesso su me stesso che Putin non si sarebbe mai imbarcato in una guerra. Ha fatto cose belle per il suo Paese, per come lo vedevo io non era un belligerante». Ora cosa pensi di lui? «Penso che Putin stia commettendo un enorme errore. Non è accettabile vedere ciò che sta succedendo in Ucraina: attacchi giorno e notte, famiglie che perdono tutto, case distrutte, bambini, donne anziani in pericolo.

Non è umano al giorno d’oggi vedere tutto questo: le scene drammatiche che ci rimandano i telegiornali spostano le lancette dell’orologio della storia a settant’anni fa». Quante volte vi siete incontrati tu e Putin? «Cinque volte, solo per motivi di lavoro. La prima nel 1986, quando con Romina facemmo diciotto spettacoli a Leningrado. Lui era venuto in qualità di capo del Kgb e aveva chiesto di incontrarci per farci i complimenti.

Mi sono esibito davanti a lui altre quattro volte: Romina e io siamo amatissimi in Russia. Noi come altri cantanti italiani, intendiamoci ». Che impressione ti aveva fatto in quelle occasioni? «Ottima. Mi aveva colpito moltissimo l’amore che nutriva per l’Italia. Girava sempre scortato da non ricordo più quante guardie del corpo che scrutavano tutto e tutti attorno a lui.

Una volta me la sono vista un po’ brutta…». Ossia? «Mi trovavo a Budapest in occasione dei Mondiali di judo, per i quali ho tenuto un concerto e ho cantato l’inno di apertura, con il testo scritto da Cristiano Minellono. Putin era il presidente onorario della Federazione del judo e io, poi, sono diventato ambasciatore di quella disciplina nel mondo.

Finita la cerimonia, mi trovavo in una grande sala con altre persone quando Putin venne a salutare. Senza pensarci spostai un vaso di fiori che stava sul tavolo, per vederlo meglio. In una frazione di secondo arrivarono le guardie del corpo, tutte attorno a me, per controllare il motivo di quel gesto». Sei amatissimo in Russia e nei Paesi dell’Est. Ma ora hai cancellato i tuoi concerti per prendere le distanze da ciò che sta accadendo. «Io sono un uomo di pace.

Non me la sentirei di cantare in un luogo dove la gente muore, dove si spara. Vale così poco la vita umana? Per me no. Alla fine di tutto devono trionfare la pace e il buonsenso. Ed è quello lo spirito che mi permette di cantare i miei brani. Ce n’è uno che si intitola Il paradiso dov’è, scritto per i conflitti nell’ex Jugoslavia. È una fotografia cantata sugli orrori di quella guerra: purtroppo una canzone che mi sembra attuale ancora oggi».



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