​​


Flotilla per Gaza, Saverio Tommasi denuncia: ‘Mi hanno picchiato e strappato le fedi’



Il giornalista italiano Saverio Tommasi riferisce di essere stato trattenuto in Israele in condizioni disumane, denunciando maltrattamenti fisici e psicologici durante la sua permanenza in un centro di detenzione.



Saverio Tommasi, reporter di Fanpage.it, è rientrato oggi a Istanbul insieme ad altri 25 italiani dopo essere stato fermato in Israele, in seguito all’intercettazione della nave Karma, parte della missione della Global Sumud Flotilla. L’imbarcazione è stata abbordata da unità della Marina israeliana mentre si trovava in navigazione verso Gaza. Il giornalista ha descritto dettagliatamente le fasi dell’abbordaggio e le condizioni subite successivamente.

Secondo quanto riferito da Tommasi, poco prima di perdere i contatti, era riuscito a inviare un video in cui si vedevano i militari israeliani dirigere la nave verso il porto di Ashdod. “Nelle ultime immagini che sono riuscito a mandarvi si vedevano i militari che ci stavano obbligando a seguire la direzione del porto di Ashdod. Subito dopo quei due gommoni con 15-20 persone a bordo di ogni gommone, ci hanno abbordato”.

Le comunicazioni sono state bloccate subito dopo: “Io ho provato immediatamente dopo a mandarvi un messaggio ‘ci stanno abbordando, ci stanno abbordando’. Però loro hanno jammato le comunicazioni. Erano almeno 15-20 persone armatissime, col volto coperto, reparti speciali della Marina Militare israeliana. Sono saliti sopra, sono stati abbastanza gentili con quasi tutti, fuorché con Yassine Lafram, a cui hanno dato un calcio con il dietro del fucile. Quando sono saliti siamo rimasti sempre braccia aperte, senza guardare negli occhi e con il passaporto davanti”.

Dopo l’abbordaggio, il controllo dell’imbarcazione è passato interamente ai militari israeliani. “Siamo stati sotto e loro hanno preso il comando della nave. Il cellulare come purtroppo tutta l’attrezzatura l’hanno presa loro. Hanno guidato la nave fino al porto di Ashdod e a noi ci hanno lasciati rinchiusi sotto coperta”.

All’arrivo nel porto, Tommasi descrive una situazione definita “terrificante”: “Ci hanno fatto uscire dalla barca, ci hanno obbligato a stare piegati mentre ci portavano in due in un piazzale fatto da dei container tutto intorno, perciò coperti alla vista, con tutte le persone sedute in fila costrette a guardare in basso. Chi non guardava in basso veniva punito con delle botte sulla testa”.

Durante la detenzione, il giornalista racconta che non fu permesso nemmeno di andare in bagno, e che i detenuti venivano spostati continuamente nel piazzale. Ha riferito di aver visto un uomo con il polso slogato e un altro, italiano di 72 anni con protesi alla gamba, costretto a restare accovacciato per ore.

“Non facevano neanche distendere le gambe, per circa tre ore, e urlavano. Se qualcuno toccava un solo dei suoi oggetti lo prendevano e lo lanciavano dall’altra parte”.

Particolarmente drammatico il racconto del trattamento ricevuto al momento dell’identificazione: “Ci hanno tolto tutta la roba. Mi hanno strappato con violenza le fedi dal dito. Se non avessi fatto ieri una scenata con la console in Israele, probabilmente io oggi le fedi non le avrei. Rubare l’oro alle persone lo facevano i nazisti. Non è possibile che esista questa cosa. Oggi ho ritrovato lo zaino e le hanno buttate lì”.

Ha descritto anche perquisizioni invasive all’interno di un tunnel: “Ci strizzavano i pettorali per perquisirci, per farci tenere le braccia alzate. Non è all’interno di una democrazia questo grado di violenza esercitata”.

Tommasi riferisce di aver subito aggressioni fisiche continue: “Ho preso botte dall’inizio dell’entrata in porto fino alla fine. Botte sulla schiena, botte sulla testa e poi ridevano, ridevano di tutto questo”.

I maltrattamenti sono proseguiti anche con umiliazioni verbali: “Mi avevano affiliato un altro nome – bitinni o vitinni ma potrei sbagliarmi – probabilmente assimilabile a qualcosa tipo ‘imbecille’. C’era questo ragazzino accanto a me, che era la guardia della polizia e avrà avuto 16-18 anni, che mi portava in giro dalle altre guardie. Non potevo mai alzare la testa, perciò non le vedevo bene”.

Ha descritto un comportamento sistematico per abbassare psicologicamente i detenuti: “Chiedeva agli altri di chiedermi come mi chiamavo. E allora io dovevo rispondere, come una scimmietta con quel nomignolo, e tutti ridevano e poi lì due al nuovo botte. In particolare a me e a Paolo Romano, che avevo accanto, ci dicevano ‘down down, up up’ varie volte. Tutte le volte che dicevano down, uno si doveva abbassare sempre di più, fino ad arrivare con la testa fino alle ginocchia”.

Il contatto con i legali è stato impedito: “Non mi è stato permesso di parlare con l’avvocato che avevamo noi. Non l’hanno fatto entrare dentro. C’era un’altra avvocata, ottima, ma era della Flottilla. L’abbiamo scoperto dopo. Con il nostro non ci hanno fatto parlare”.

Durante la detenzione vera e propria, Tommasi ha raccontato che non vi sono state violenze fisiche, ma un clima repressivo e intimidatorio: “C’erano dei cani lupo all’ingresso del porto, mentre noi eravamo seduti in terra guardando in basso, che ovviamente abbaiavano e li portavano vicino. Durante il regime detentivo urlavano. Non esisteva riferirsi ad un’altra persona con una tonalità di voce normale, c’era soltanto la possibilità di urlare per impaurirci”.

La sistemazione all’interno del centro era precaria: “Ci spostavano di cella in cella. Noi eravamo da 15, perciò abbiamo dormito in terra, alcuni di noi oppure nei letti due per letto. Il cibo era molto poco. Non davano bottiglie da bere, potevamo soltanto bere l’acqua del bagno di un sapore rancido”.

Il ritorno di Saverio Tommasi in Italia è previsto nelle prossime ore. Domani sarà presente al Rumore Festival di Roma, dove interverrà pubblicamente sul suo viaggio e sulla detenzione subita.




Add comment