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Giulia Cecchettin, femminicidio: secondo i giudici le 75 coltellate di Turetta non indicano crudeltà



Il caso di Filippo Turetta, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Giulia Cecchettin, ha suscitato un acceso dibattito a causa della decisione della Corte d’Assise di Venezia di non riconoscere l’aggravante della crudeltà, nonostante l’imputato avesse inflitto alla vittima ben 75 coltellate. I giudici, nelle motivazioni della sentenza, hanno chiarito che il numero delle ferite non è stato considerato sufficiente a configurare una condotta particolarmente efferata.



Secondo la Corte, le coltellate non sono state inferti con l’intento di infliggere dolore prolungato alla vittima, ma piuttosto da una volontà “frettolosa e maldestra” di uccidere, riconducibile all’inesperienza e all’agitazione di Turetta. Questo ha portato i giudici a concludere che il gesto non fosse motivato da un desiderio sadico, ma rappresentasse un’esecuzione impulsiva e caotica dell’omicidio, caratterizzata da modalità di attacco inefficaci e ripetitive.

Nelle motivazioni della sentenza, emessa il 3 dicembre scorso, si legge che la dinamica dell’omicidio non permette di “desumere con certezza, e al di là di ogni ragionevole dubbio”, che Turetta volesse “infliggere alla vittima sofferenze gratuite e aggiuntive”. Pertanto, “non è a tal fine valorizzabile, di per sé, il numero di coltellate inferte”.

I giudici hanno sottolineato che le 75 coltellate non rappresentano un atto deliberato di crudeltà, ma piuttosto il risultato della mancanza di competenza e della scarsa esperienza dell’imputato nel portare a termine l’omicidio in modo “efficace”. Analizzando le immagini registrate durante l’aggressione, il collegio giudicante ha notato una dinamica caotica, con colpi rapidi e ravvicinati, inflitti quasi alla cieca. Questa modalità di attacco, pur mostrando un’efferatezza complessiva, non è stata interpretata come una scelta lucida o consapevole da parte di Turetta, ma piuttosto come l’esito di un comportamento concitato, guidato dal panico.

Le carte processuali rivelano che Turetta non aveva l’esperienza necessaria per infliggere colpi più efficaci, capaci di provocare la morte della ragazza in modo più rapido e pulito. Ha continuato a colpire fino a quando si è accorto che Giulia “non c’era più”. Inoltre, ha dichiarato di essersi fermato “quando si è reso conto che aveva colpito l’occhio: ‘mi ha fatto troppa impressione’”.

Di conseguenza, la Corte ha escluso che la coltellata all’occhio fosse stata inferta con l’intento di arrecare scempio o sofferenza aggiuntiva. Anche se il numero delle ferite era elevato, la loro localizzazione è stata interpretata come frutto di un’azione violenta e confusa, eseguita con urgenza, ma non finalizzata a infliggere sofferenze gratuite o particolarmente crudeli.

In conclusione, i giudici hanno affermato che, “per quanto esposto, non ravvisano elementi idonei per ritenere, con gli ordinari canoni di certezza processuale, al di là di ogni ragionevole dubbio, che in capo all’imputato vi fosse la volontà di apportare sofferenze eccedenti rispetto a quelle direttamente connesse alla consumazione dell’omicidio”. Pertanto, l’aggravante contestata è stata esclusa.



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