Il 9 settembre 2002, durante la discesa nel Hornbein Couloir sull’Everest, Marco Siffredi scomparve definitivamente, lasciando dietro di sé una traccia che si interruppe dopo pochi metri.
Marco Siffredi, nato il 29 maggio 1979 a Chamonix, in Francia, ma con radici italiane, era figlio di Philippe, guida alpina e parrucchiere locale, e fratello di Pierre, alpinista scomparso giovanissimo. Fin da adolescente, Marco ha sviluppato una passione intensa per lo snowboard, tramutata in una carriera folgorante nell’ambito delle discese estreme .
All’età di 16 anni ricevette la sua prima tavola e, l’anno seguente, esplorò tutte le grandi pareti del Monte Bianco. Nel 1996, a soli 17 anni, affrontò la vertiginosa Mallory all’Aiguille du Midi, seguita dalla prima discesa nel 1998 in Sudamerica, dove conquistò il Tocilarajo (6.032 m) in Perù con Philippe Forte e René Robert . Il 17 giugno 1999 registrò un altro primato, scendendo dalla parete Nant Blanc dell’Aiguille Verte (oltre 55° di pendenza). Poco dopo, in Himalaya, completò la propria prima discesa con tavola sul Dorje Lhakpa (6.988 m) .
Nel 2000 raggiunse la cima del Cho Oyu (8.188 m) e, nella primavera del 2001, compì la prima discesa integrale in snowboard dell’Everest – dal versante nord, attraverso il Couloir Norton – a 22 anni . La mattina del 24 maggio 2001 salì a piedi la vetta (8.848 m) con ossigeno e due sherpa, quindi discese lungo la parete nord. Nonostante un guasto alla cinghia dello snowboard a causa del gelo (–35 °C), uno sherpa riparò l’attacco e Siffredi completò la discesa fino a 6.400 m in circa due ore .
In quell’occasione si generò un acceso dibattito: il primato era contendibile con l’austriaco Stefan Gatt, che aveva raggiunto la vetta e sceso parte del percorso a piedi, riagganciando la tavola a 7.500 m. Alla fine il merito fu attribuito ad entrambi .
Nel successivo autunno 2001, Siffredi tentò lo Shisha Pangma (8.027 m), ma il forte vento non gli permise di attaccare la tavola oltre quota 7.000 m . L’anno successivo, nel 2002, tornò sull’Everest con l’ambizione di affrontare il più impegnativo Hornbein Couloir, con pendenze superiori ai 60° sul versante nord .
Partito da Kathmandu ad agosto con tre sherpa e dopo l’acclimatamento, il 7 settembre raggiunse il campo avanzato a 8.300 m. Il giorno dopo, 8 settembre, salì in vetta (alle 14:10 circa) in compagnia degli sherpa. Nonostante essi cercassero di dissuaderlo, egli, dopo un’ora di riposo, si avviò verso il pericoloso couloir .
La discesa iniziò intorno alle 15:00, sotto lo sguardo di Olivier Besson, guida alpina. Le prime tracce furono osservate intorno agli 8.600 m, ma a circa 350 m di dislivello sotto la vetta sparirono, senza alcun segno della sua tavola o dell’uomo . Anche lo sherpa Phurba Tashi riferì che lo aveva visto “alzarsi, poi scivolare silenziosamente giù…” prima che le tracce si interrompessero definitivamente .
Nei giorni successivi, il governo francese inviò una squadra di ricerca: nulla, se non l’interruzione delle tracce dopo pochi metri. Nessun corpo, nessuna tavola, nessun indizio: scomparso dal 9 settembre 2002, a soli 23 anni . Un suo amico ipotizzò che, in un tratto relativamente semplice, Siffredi avrebbe potuto addormentarsi e cadere in un crepaccio senza svegliarsi .
Rete di appassionati, tra cui su Reddit, individua nella spettacolarità del couloir, nella stanchezza accumulata dalla salita e nelle condizioni estreme a –35 °C le potenziali cause della tragedia .
Marco Siffredi ha lasciato un’eredità indelebile nel mondo dell’alpinismo e dello snowboard estremo. In suo onore sono stati pubblicati libri come La traccia dell’angelo di Antoine Chandellier (2005) e Ci vediamo domani – la leggenda di Marco Siffredi di Evans Jeremy (2022) . Lo stesso François Damilano, suo compagno, raccontò: “Marco aveva 20 anni. Si era appena decolorato i capelli e si era fatto un nuovo piercing. Marco era indipendente e imperturbabile. Il suo talento era enorme.”
Oggi il corpo di Marco Siffredi riposa chissà dove nel Nord dell’Everest. La sua vicenda rimane simbolo di audacia, passione e libertà estrema, con un lascito che continua a ispirare atleti e narratori di imprese himalayane.
Add comment