Mi chiamo Elena, ho 38 anni e sono sposata con Marco da dieci. Abbiamo una vita tranquilla, forse fin troppo: una bella casa, un lavoro fisso per entrambi, una figlia adolescente e una routine che ormai è diventata prevedibile come il lunedì mattina.
Non posso dire che Marco sia un cattivo marito: mi ha sempre trattata bene, non mi ha mai mancato di rispetto. Ma, diciamoci la verità, da anni non mi guarda più davvero. Quando ci incrociamo in cucina, sembriamo coinquilini, non amanti. Non ricordo l’ultima volta in cui mi ha chiesto come stavo. E io… mi sono spenta, senza nemmeno accorgermene.
Forse è proprio per questo che, una sera di sabato, mentre lui guardava una partita in salotto e mia figlia era chiusa in camera con il suo mondo parallelo, ho scaricato un’app di chat anonima. Non cercavo nulla di serio. Solo qualcuno con cui parlare. Qualcuno che non mi conoscesse, che non mi giudicasse.
Scelsi un nickname semplice: Nina38. Caricai una foto dove il mio volto era parzialmente coperto dai capelli. Nulla di provocante, nulla di volgare. Non volevo flirtare… o almeno così credevo.
Dopo qualche conversazione banale, ricevetti un messaggio da un certo UomoSincero81:
“Hai uno sguardo intelligente, Nina. Non capita spesso qui.”
Già da quella frase capii che c’era qualcosa di diverso in lui. Iniziammo a parlare di tutto: libri, film, musica, sogni. Mi faceva ridere. Mi ascoltava. Mi chiedeva cose che Marco non mi chiedeva da anni. Ogni sera attendevo con ansia quel piccolo segnale sul telefono: un suo messaggio era diventato la mia boccata d’ossigeno.
Poi, cominciò a farmi domande più personali. E io, nonostante i miei buoni propositi, rispondevo.
“Che lavoro fai?”
“Com’è tuo marito?”
“Se potessi, scapperesti per un weekend con uno sconosciuto?”
Mi accorsi che stavo scivolando… e invece di fermarmi, accelerai.
Una notte mi scrisse:
“Se ti vedessi per strada, penso che ti riconoscerei.”
Il cuore mi fece un tonfo. Perché, in fondo, avevo la stessa sensazione. E quel pensiero mi eccitava… e mi terrorizzava allo stesso tempo.
Cominciai a rileggere ogni suo messaggio con occhi diversi. Ogni parola diventava un possibile indizio. Poi scrisse:
“Hai detto che tua figlia ha 15 anni, giusto? E che avete un labrador.”
Non ricordavo di avergli detto nulla del genere. O forse sì, distrattamente. Ma ora mi sentivo… nuda. Scoperta. Aveva troppi dettagli. O era un genio… o mi conosceva davvero.
Iniziò a diventare un’ossessione. Rileggevo tutta la chat dall’inizio, cercando di capire se fossi stata io a rivelare troppo o se lui avesse usato qualche trucco. E intanto, continuavo a scrivergli. Ogni sera. Mentre Marco dormiva accanto a me.
Una notte gli scrissi:
“Sei mai stato a casa mia?”
Lui rispose con un’emoji. Poi, dopo qualche secondo:
“Forse più vicino di quanto pensi.”
Ebbi un brivido. Mi alzai, andai in cucina, bevvi un bicchiere d’acqua per calmarmi. Ma quando tornai a letto, un altro messaggio mi attendeva:
“Sai che mi piaci. E sai anche tu che non è più solo un gioco.”
Il panico e l’eccitazione si mescolavano. Vivevo due vite: di giorno moglie e madre, di notte Nina38, desiderata da un uomo che forse mi conosceva davvero.
Decisi di fare un esperimento. Durante un pranzo di famiglia, osservai con attenzione mio cognato, Andrea. Era seduto proprio di fronte a me. Fece una battuta su un libro che guarda caso avevo citato in chat. Poi disse:
“Somigli a quella tipa che ho visto su un’app… Nina qualcosa.”
Risi, ma il cuore mi batteva all’impazzata.
Quella notte scrissi:
“Dimmi chi sei.”
Rispose:
“Hai già capito. Ma sei pronta a saperlo davvero?”
Per la prima volta, ebbi davvero paura. Mi guardai allo specchio: pallida, occhi gonfi, i capelli arruffati. Chi stavo diventando?
Il giorno dopo Andrea scrisse nel gruppo di famiglia:
“Ragazzi, chi porta il vino domenica prossima?”
Un messaggio innocente. Ma io lo lessi come un codice.
“Domenica, di nuovo a casa mia.”
Sparii dalla chat. Primo giorno: silenzio.
Secondo giorno:
“Mi manchi.”
Terzo giorno:
“È strano… non averti così vicina.”
“Vicina.” Non “lontana”, non “sfuggente”. Vicina.
Il sabato successivo, mentre ero sola a casa, ricevetti un messaggio da un numero sconosciuto:
“Ciao, Nina.”
Poi un secondo messaggio: una foto. Un bicchiere di vino, un tappo, e la mia tovaglia a righe rosse. Era stato a casa mia? O era già dentro?
Scrissi:
“Basta. Chi sei? Voglio la verità.”
Rispose:
“Domani ti guarderò negli occhi. Se non avrai il coraggio di dire nulla, lo farò io.”
Il giorno dopo, alle 11 in punto, la porta si aprì. Marco portava delle birre, mia sorella rideva con mia figlia. E Andrea fu l’ultimo a entrare. Mi fissò. Sorrise. Un sorriso che avevo già visto… dietro lo schermo.
Durante il pranzo, parlai poco. Andrea si sedette proprio di fronte a me. Versò un bicchiere di vino rosso. Lo stesso bicchiere. La stessa bottiglia.
Sotto il tavolo, con un gesto rapido, mi sfiorò il piede. Io ritrassi la gamba. Poi il mio telefono vibrò:
“Quante volte dobbiamo fare finta, Elena? Basta mentire.”
Sentii il sangue gelarsi nelle vene.
Dopo pranzo, mentre tutti erano in giardino, Andrea entrò in cucina. Si avvicinò.
“Non dici niente, Elena?”
Sussurrai:
“Sei malato.”
Mi guardò negli occhi:
“O forse sei solo spaventata… perché ti ho letto meglio di chiunque altro.”
Mi sfiorò la mano. Io la ritrassi.
“Cosa vuoi da me?”
“Solo che tu sia onesta. Con me. E con te stessa.”
Poi uscì, lasciandomi con le mani tremanti.
Prima di andare via, mi disse:
“Ci vediamo presto, Nina.”
Da quel giorno, nulla fu più lo stesso. Andrea scomparve. Niente messaggi, niente chat. Nemmeno alle solite cene di famiglia. Il vuoto che lasciò era assordante. Dopo due settimane, scrissi io:
“Perché sei sparito?”
Nessuna risposta.
Poi, un venerdì pomeriggio, lo incontrai in un bar.
“Dobbiamo parlare.”
Ci sedemmo. Gli dissi tutto. Che mi ero lasciata andare, che avevo sbagliato, ma che lui aveva giocato sporco. Andrea rispose:
“Volevo solo capire fin dove ti saresti spinta. Perché mi sei sempre piaciuta. E volevo dimostrarti che tuo marito non ti conosce. Ma io sì.”
Lo fissai, senza fiato.
“E adesso cosa farai?”
“Nulla. Ma da oggi, tra noi, c’è un patto. Io non dirò mai niente. Ma tu… non potrai dimenticare.”
Mi lasciò lì. Con un caffè freddo e il cuore in macerie.
Da allora, ogni pranzo di famiglia è un campo minato. Ogni sguardo tra noi ha un peso. Ogni parola è una corda tesa tra memoria e rimorso.
Sono ancora sposata. Ancora madre. Ancora… Nina38.
Ma da quel giorno so una cosa con certezza:
👉 Il tradimento peggiore non è quello del corpo. È quello che fai a te stessa quando smetti di essere sincera.
Add comment