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Penso che stasera mi sia arrivato un segnale per chiudere la mia relazione. Mi sento male, ma non so come potrei ignorarlo



Credo che stasera mi sia arrivato un segnale. Uno di quelli impossibili da ignorare. E anche se mi fa stare male, non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che questo sia il momento in cui devo chiudere la mia relazione.



Ho 25 anni, e sto con il mio ragazzo da quando ne avevamo 17. Siamo cresciuti insieme, e ormai siamo una famiglia a tutti gli effetti. I suoi nipotini mi chiamano zia, i nostri genitori danno per scontato che il matrimonio e i figli siano dietro l’angolo. Da fuori sembriamo solidi, inevitabili.

Ma dentro di me c’è sempre stata una confusione difficile da spiegare. Ho iniziato a fare la barista per pagarmi gli studi, ho preso un Associate’s degree, poi mi sono fermata. La pausa doveva essere temporanea, ma non sono mai più tornata. Non ho una carriera, nessuna qualifica vera, e passo le mattine a dormire e le giornate a cercare di capire dove sto andando. Sento una pressione enorme a sistemarmi, soprattutto in una piccola cittadina del sud dove alla mia età ci si aspetta che tu abbia già una vita “a posto”.

Otto mesi fa, ho parlato con il mio ragazzo dell’idea di trasferirci fuori stato per permettermi di iscrivermi a una scuola che ho sempre sognato. Gli ho spiegato che non voglio restare qui per sempre, e lui ha fatto finta di capire. Ma la verità è emersa subito: non ha alcuna intenzione di andarsene. Mai.

Questa consapevolezza mi ha tormentata per mesi. Ho guardato appartamenti di nascosto, immaginato come sarebbe la mia vita altrove. Ma alla fine, ho rinunciato. Ho pensato che scegliere me stessa sarebbe stato egoista. L’avrei ferito, avrei sconvolto le nostre famiglie, e avrei forse buttato via otto anni della sua vita. Oltre al fatto che, per la prima volta, mi sarei trovata completamente sola. Così ho ceduto. Mi sono rassegnata alla vita che tutti si aspettano da me.

Poi è arrivata questa sera.

Al lavoro è passato a trovarmi un vecchio amico, uno che si è arruolato due anni fa e che ho visto pochissimo da allora. Abbiamo parlato della vita, della scuola, dei cambiamenti. Gli ho accennato, in modo vago, al fatto che avevo pensato di trasferirmi ma alla fine ho deciso di restare. E lui, guardandomi dritto negli occhi, mi ha detto: “Devi andartene da qui.” Mi ha raccontato quanto la sua vita sia cambiata da quando è uscito dalla sua bolla, da quanto non ci si renda conto di quanto sia piccolo il proprio mondo finché non se ne esce.

Quella frase mi ha colpita nel profondo. Ma non era finita lì.

Poco dopo, accompagno a casa una collega neurodivergente con cui ho un rapporto speciale. Le nostre conversazioni sono sempre particolari, lei è bravissima a leggere le persone, ma stasera non avevamo parlato di niente di serio. La accompagno, si avvicina per scendere, poi si gira verso di me e dice: “Ehi, un consiglio: fidati del tuo istinto.” E se ne va.

Sono rimasta paralizzata. Ho fissato il parabrezza per minuti, incredula, poi ho iniziato a piangere mentre guidavo verso casa. È stato come se tutto avesse preso forma in un attimo. Una certezza improvvisa, brutale, che la mia vita sta per cambiare.

Mi sento a pezzi per ciò che so di dover fare. Mi si spezza il cuore solo a pensarci. Ma come potrei mai ignorare quello che è successo stasera?



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