Fecondazione assistita: Louise Brown compie 40 anni, nati in provetta 8 mln di bimbi



Attualmente, commenta la responsabile del Centro di infertilità e pma del Policlinico S.Orsola di Bologna, Eleonora Porcu, “in Italia siamo in grado di rispondere alla domanda di pma da parte delle coppie, ma il vero problema resta la diseguaglianza di accesso alle tecniche nelle regioni”. C’è insomma, afferma, “una situazione a macchia di leopardo con forti gap regionali. Ciò vale per la sanità in generale, ma anche per l’accesso alla procreazione medicalmente assistita”.



La relazione presentata il 30 giugno dal ministro della Salute al Parlamento sull’applicazione della legge 40/04 sulla fecondazione assistita disegna un quadro estremamente chiaro dell’impiego delle tecniche di fecondazione in vitro in Italia, procedure ormai trasformate in autentico business. Si osserva infatti la preoccupante crescita sul territorio nazionale del numero di centri privati e con poca esperienza (i centri che effettuano più di 1.500 cicli/anno sono il 5%, mentre i centri che effettuano meno di 100 cicli/anno sono il 40%), dato questo che conferma la trasformazione della fecondazione in vitro in una vera e propria attività commerciale, con la diffusione sul territorio di piccoli centri privati, spesso privi di esperienza.

Una tendenza questa esattamente opposta a quella che si va delineando in altre aree della sanità (basti pensare ad esempio alla chiusura di numerosi punti nascita nei quali si effettua un numero esiguo di parti/anno) e che invece viene ampiamente tollerata per la procreazione medicalmente assistita (pma), nella quale peraltro la gran parte del sistema è ormai gestita dai privati. Per quanto riguarda i risultati delle tecniche in vitro, si conferma pressoché stabile (anzi con una lieve riduzione rispetto all’anno precedente) la percentuale (11%) di parti con almeno un nato vivo su cicli iniziati mediante tecniche di II livello (Fivet-Icsi) omologhe. Al di là di tutti i numeri sbandierati a scopo promozionale dai vari centri infatti è questa la percentuale di successo che interessa realmente le coppie.

Vuol dire che su 100 coppie che iniziano un percorso di pma in Italia soltanto 11 lo terminano stringendo un figlio tra le braccia. Si tratta di una percentuale estremamente bassa e di gran lunga inferiore a quella dei pochi centri che offrono alternative autenticamente diagnostico-terapeutiche alla sterilità di coppia. Peraltro mancano i dati – che invece sarebbero preziosi – relativi a quante coppie con storia di infertilità hanno concepito naturalmente prima di accedere a tecnica in vitro, unico dato che permetterebbe di confermare l’impiego nei vari centri del criterio di gradualità previsto dalla Legge 40. Se poi esaminiamo i costi del ricorso alle tecniche, il primo e più drammatico costo è quello in vite umane, in embrioni prodotti e non nati. A fronte infatti dei 111.364 embrioni formati e trasferibili, e dei 76.874 embrioni prodotti con tecniche a fresco e trasferiti, sono nati 7.695 bambini. Vuol dire cioè una perdita embrionaria del 90%, con un numero che im pressiona: 69.179 figli generati in vitro e non nati in un solo anno.

A questo numero occorre poi aggiungere i 34.490 embrioni prodotti e crioconservati. Per quanto attiene ai costi economici, il Ministero continua a non fornire dati sui costi delle procedure di pma, ma è lecito presumere che non dovremmo essere lontani dal miliardo di euro per anno. La relazione presenta inoltre i primi dati preliminari sull’applicazione della fecondazione in vitro eterologa. Il primo dato a farci riflettere è che, a fronte del ricorso di gameti di donatore, dunque con caratteristiche genetiche verosimilmente migliori (età degli ovociti generalmente giovane, assenza di storia di infertilità) la percentuale di successo (nati/ciclo) non cambia di molto (13% rispetto all’ 11% dell’omologa). Nella relazione si dichiara inoltre che sono stati realizzati 359 cicli con embrioni congelati provenienti da banca estera (Austria, Grecia, Rep. Ceca, Spagna, Svizzera) che, per ammissione del ministero sono presumibilmente in gran parte il risultato di fecondazioni eterologhe avvenute all’estero con la seguente procedura: seme esportato dall’Italia, donazione di ovociti e loro fecondazione nel centro estero, utilizzando il seme italiano esportato, successiva importazione in Italia di embrioni formati (e crioconservati) all’estero.

Ancora una volta dunque emerge l’amara verità: la fecondazione in vitro si è trasformata in business, in commercio, con logiche da import-export. Per quanto riguarda l’importazione di gameti sono stati importati 21.470 ovociti da Danimarca, Grecia, Rep. Ceca, Spagna, Svizzera. La legge in Italia prescrive che la donazione di cellule e tessuti (compresi i gameti) sia gratuita e prescriverebbe che l’acquisto di gameti possa avvenire soltanto da Paesi che rispettino le stesse modalità di donazione; tuttavia è facilmente intuibile che – a volte nella forma di un lauto rimborso spese – nei Paesi dai quali si importano ovociti le donatrici, spesso donne in grave difficoltà economica (basta andare nei forum di qualche centro estero per leggerne le storie) ricevano un compenso per sottoporsi a complesse procedure di stimolazione ormonale e prelievo di ovociti destinati alla pma.

Un’ultima considerazione infine deve essere fatta in merito ai fondi per attività di ricerca previsti dalla legge 40 per studi sulle cause dei fenomeni della sterilità e mirati «a favorire gli interventi necessari per rimuoverle» e – solo secondariamente – sulle tecniche di crioconservazione dei gameti. Nel 2015 i fondi sono tutti stati spesi – ancora una volta – per studi sulla crioconservazione dei gameti, dunque non destinando nessuna risorsa alla ricerca mirata alla comprensione delle cause della sterilità e alla loro rimozione. Il quadro che emerge è quello per cui le tecniche di fecondazione in vitro presentano oggi scarse percentuali di successo, costi elevatissimi in termine di vite umane, oltre che economici. Ciò nonostante si assiste alla diffusione in questo ambito di modalità operative mirate più all’interesse commerciale che a quella tutela «di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito», indicata dalla legge 40/04. A fronte di tali dati troppo poco si investe nella ricerca scientifica di base e clinica, condotta ormai in pochi centri, per trovare soluzioni terapeutiche reali ed efficaci ai problemi di sterilità di coppia.



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