Mini Flat tax, in arrivo con nuove regole e restringimento beneficiari: cosa cambia



Attenzione alla “mini flat tax” per i piccoli, l’incentivo fiscale a forfait per le Partite Iva: può genere iniquità. La proposta di legge che dovrebbe sostituire l’Irpef e l’Irap è stata depositata giovedì scorso, sostenuta dalla Lega e firmata dai 5 Stelle: aliquota del 15% per le imprese fino a 100 mila euro di ricavi all’anno (prima il tetto era a 30 mila), del 5% per le startup e le persone con meno di 35 anni. E’ una misura popolare e risponde ai desideri del tessuto produttivo soprattutto settentrionale, indubbio. Ma rischia di innescare la corsa a trasformare i contratti di lavoro dipendente in rapporti autonomi. Alcuni datori di lavoro potrebbero, infatti, premere sui propri dipendenti per licenziarli e re-impiegarli a partita Iva. Senza contare le disparità di contribuzione che emergerebbero tra un soggetto a partita Iva e un lavoratore dipendente, tassato con l’Irpef a scaglioni. La tassa piatta Garavaglia-Bitonci può insomma generare distorsioni sul lungo periodo, analizza L’Economia, il settimanale del Corriere della Sera in edicola domani gratis con il quotidiano. Che elenca le conseguenze della mini-riforma e approfondisce il tema più ampio della flat tax, anche con considerazioni di opportunità sociale: per esempio, bilanciarla con una misura di contrasto alla povertà (reddito di cittadinanza o reddito minimo che dir si voglia).



Lo spread non è un complotto

Ferruccio de Bortoli scava invece nello spread alle stelle e conclude: altro che complotto, il differenziale fra i titoli di Stato decennali italiani e quelli tedeschi si allarga davvero (286 punti venerdì scorso, più che raddoppiato in quattro mesi: era a 113,6 il 24 aprile, minimo del 2018, non si  vedevano questi livelli da cinque anni). E ci fa male. Perché, piaccia o non piaccia, questo è un termometro concreto della salute del Paese. E lo specchio della fiducia degli investitori. “Il giudizio dei mercati sull’Italia gialloverde è ormai preoccupazione quotidiana – scrive de Bortoli -. Il costo dello spread, che si avvicina ai 300 punti, ha già lasciato segni indelebili nei conti dello Stato, delle banche, delle aziende. Intacca i risparmi delle famiglie”. E ancora: «La contrapposizione con i mercati sostituisce oggi – in misura, fortunatamente, meno cruenta – la narrazione militare del nemico esterno. E nell’età sovranista, del ritorno indietro alla scoperta delle bellezze di un tempo (i ricordi sono sempre ingannevoli) gli indici finanziari sono la metafora dell’esercito nemico che preme alle porte». Il punto, secondo de Bortoli, è però che «quando si parla di mercati ci si dimentica di un piccolo particolare che dovrebbe indurre il governo a passi felpati e responsabili. Ogni anno un Paese indebitato come il nostro ha bisogno di vendere agli investitori 400 miliardi di titoli pubblici. Se temono di non essere rimborsati, non sottoscrivono o lo fanno con un premio al rischio più alto».

La concorrenza dimenticata

A proposito di mercato, la parola che sta mancando nel dibattito politico è «concorrenza». Scrive Francesco Giavazzi su L’Economia: «E’ citata solo tre volte nel Contratto che regge il governo giallo-verde». Eppure è la chiave per la riduzione dei prezzi e la tutela del consumatore. E’ del primo agosto, per esempio, la multa di 3,2 miliardi dell’Antitrust, guidata dall’uscente Giovanni Pitruzzella, a Wind, Telecom e Vodafone per condotte commerciali aggressive. «La decisione imminente che segnerà la politica della concorrenza nei prossimi sette anni è la nomina del presidente dell’Autorità garante della concorrenza – scrive Giavazzi -. Il fatto che spetti ai presidenti delle due Camere, cioè a un rappresentante, pur spesso critico, della maggioranza e a una dell’opposizione, lascia sperare».

La macchina ingolfata

Intanto però alle prime otto banche mancano in cassa 800 milioni rispetto al 31 marzo, dicono le ultime trimestrali. E la macchina parlamentare è già ingolfata, si scrive sull’Economia: sono 1.758 i progetti di legge presentati dal 23 marzo, prima seduta dopo le elezioni. Ma solo otto risultano approvate definitivamente. Una è quella quella sui seggiolini salva-bebè. Fra gli altri temi, la famiglia Noberasco di Savona che, oltre alla frutta secca, produrrà le spremute biologiche (e vuole crescere anche all’estero); il business della marijuana (curativa) che a Wall Street rischia di scoppiare come una bolla. E la caduta degli dei – Elon Musk (Tesla), Marck Zuckerberg (Facebook), Jack Dorsey (Twitter) – dall’Olimpo dell’hi-tech. Nella sezione risparmio, invece, i consigli per investire 10 mila, 50 mila o 100 mila euro. Tenuto conto di variabili impazzite come i nuovi dazi americani o il flop della lira turca.

In Italia, alcuni partiti politici (Lega, Forza Italia, Energie per l’Italia) hanno proposto l’introduzione di una flat tax. Inoltre una proposta molto dettagliata è stata avanzata dal think-tank Istituto Bruno Leoni (IBL), che l’ha affiancata a una profonda revisione del sistema di sostegno sociale per i meno abbienti . Quali sono i vantaggi di una flat tax? Il grande pregio della flat tax è quello di rendere il sistema fiscale più semplice e trasparente, riducendone i costi di adempimento. Inoltre l’aliquota di tassazione verrebbe normalmente fissata a un livello tale da ridurre la pressione fiscale, il che potrebbe avere vantaggi aumentando l’efficienza del sistema economico e riducendo l’incentivo all’evasione. Consideriamo separatamente questi aspetti. a) Semplificazione Questo è un vantaggio molto importante, soprattutto per un paese come l’Italia dove il sistema di tassazione è molto complesso.

Occorre però capire che in paesi come il nostro la complessità della tassazione sui redditi non deriva tanto dall’esistenza di diverse aliquote, ma dalla complessità della base imponibile delle imposte sul reddito. Quest’ultima riflette una pletora di agevolazioni varie (spese fiscali o tax expenditures) che si sono accumulate nel tempo senza seguire un disegno complessivo e che creano distorsioni e disuguaglianze di trattamento tra diversi soggetti di imposta. Il sistema della tassazione sui redditi potrebbe quindi anche essere semplificato mantenendo aliquote diverse per diversi scaglioni di reddito. Ciò detto, l’introduzione di una flat tax potrebbe fungere da catalizzatore per la semplificazione fiscale, finora rivelatasi impossibile nel contesto del sistema attuale.

La complessità delle imposte sui consumi (l’IVA) deriva invece spesso dall’applicazione di diverse aliquote a prodotti diversi, il che genera spesso confusione sull’aliquota da applicare (sulla base di definizioni vaghe delle merceologie di prodotti). In questo caso, quindi, l’unificazione delle aliquote costituirebbe un importante elemento di  semplificazione, anche dal punto amministrativo. Le aliquote agevolate (o più elevate di quella standard) sono solitamente giustificate dalla necessità di introdurre un elemento di progressività nella tassazione indiretta, ma comportano un sussidio per gli acquisti di certi prodotti anche dai consumatori abbienti. Meglio sarebbe unificare le aliquote e compensare chi ha reddito più basso con trasferimenti diretti.

Tuttavia, le proposte di flat tax avanzate in Italia non sono estese all’IVA, tranne quella dell’IBL, che tuttavia mantiene le aliquote agevolate più basse. b) Effetti sulla crescita economica I promotori della flat tax sostengono che questa aiuti la crescita economica in due modi: primo, il minor livello di tassazione renderebbe il sistema economico più efficiente perché ridurrebbe le distorsioni causate dalla tassazione; secondo, la semplificazione del sistema ridurrebbe il costo degli adempimenti burocratici. È difficile quantificare gli effetti della flat tax sulla crescita reale. Pochi studi sono stati condotti a riguardo e i paesi che la hanno adottata sono poco similari al nostro; questi hanno effettivamente registrato un elevato tasso di crescita dopo l’introduzione della flat tax, ma è difficile provare empiricamente la correlazione tra maggiore crescita e nuovo sistema di tassazione.

È anche difficile estendere i possibili risultati, relativi ad economie in transizione, a paesi come l’Italia. Una questione connessa è se una maggiore crescita possa derivare attraverso un terzo canale, ossia la riduzione del grado di progressività del sistema di tassazione. Tale riduzione potrebbe indurre un aumento delle ore lavorate da parte dei lavoratori più qualificati (ad alta produttività quindi) che beneficerebbero maggiormente ella riduzione delle aliquote marginali e della progressività del sistema. Tuttavia, come conclude un recente lavoro del Fondo Monetario Internazionale: “Non esiste una forte evidenza empirica che mostri che la progressività è dannosa alla crescita…l’evidenza empirica riguardo il legame diretto tra progressività della tassazione e crescita è mista…la maggioranza delle specificazioni [negli studi empirici] non riporta effetti della progressività sulla crescita…Questo risultato non elimina la possibilità di un impatto negativo sulla crescita di sistemi di tassazione estremamente progressivi, come le aliquote di quasi il 100 per cento in Svezia o nel Regno Unito negli anni ’70, ma suggerisce che non ci siano prove chiare che i livelli di progressività visti finora nei paesi OECD siano stati dannosi alla crescita in maniera dimostrabile.”3 Detto questo, è possibile che la flat tax porti ad una maggiore crescita partendo da un sistema di tassazione complesso e inefficiente, ma l’incertezza sugli effetti relativi consiglia prudenza, evitando di pensare che la flat tax possa essere “autofinanziata” dai proventi della maggiore crescita.

Effetti sull’evasione fiscale Si sostiene spesso che aliquote di tassazione più basse riducono l’incentivo a evadere in quanto a tasse minori corrisponde un minor vantaggio dall’evasione (data l’avversione al rischio). In realtà se la multa nel caso si sia scoperti è proporzionale alle tasse che si sarebbe dovuto pagare (come è attualmente in Italia), una riduzione di imposta implica una multa minore, che a sua volta potrebbe incoraggiare una maggiore evasione per via della penale inferiore. In casi più complessi e realistici, l’effetto del livello di tassazione sul grado di evasione è ambiguo. Poche ricerche empiriche sono state condotte sugli effetti della flat tax sull’adempimento del dovere fiscale. I risultati disponibili non giungono a chiare conclusioni, tranne che per la Russia dove il grado di adempimento sembrerebbe sia aumentato5 . In ogni caso, non è chiaro se questo aumento di compliance possa essere legato a un cambiamento comportamentale oppure se sia stato piuttosto causato da altri sviluppi, quali l’aumento nelle procedure di controllo. In conclusione, non è da escludere che una riduzione nel livello della tassazione media e marginale che accompagnerebbe l’introduzione di una flat tax possa portare a una minore evasione, ma non è un effetto su cui si possa contare ex ante, compreso per individuare possibili coperture per il finanziamento dei costi fiscali della flat tax. Considerando invece altre possibili determinanti dell’evasione, un ruolo fondamentale viene giocato dalla possibilità in sé di evadere : la percentuale di reddito evaso è significativamente maggiore se il contribuente dichiara autonomamente il proprio reddito; nel caso di lavoratore dipendente invece, per il quale una terza parte ne riporta il reddito, il tasso di evasione è molto più basso. Questo comportamento suggerisce che, se tutti i contribuenti fossero indipendenti nelle loro dichiarazioni, il rischio di evasione crescerebbe notevolmente, semplicemente perché la possibilità di farlo aumenterebbe. La proposta della Lega (vedi box), che contempla questa ipotesi, auspica una riduzione dell’evasione grazie all’abbassamento della aliquota e alla semplificazione del sistema, senza tenere però conto dell’effetto che l’abolizione di sostituto di imposta e ritenuta d’acconto potrebbe avere sul reddito dichiarato.

L’esperienza russa è quella più interessante. La riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, entrata in vigore nel 2001, comportò il passaggio da tre scaglioni di aliquote (12, 20 e 30 per cento, con una aliquota media al 14 per cento) ad una unica al 13 per cento, insieme ad un ampliamento della no-tax area. Nello stesso anno e nei due anni seguenti, le entrare corrispondenti aumentarono al netto dell’inflazione rispettivamente del 26, 21 e del 12 per cento a fronte di aumenti del Pil che, seppure molto elevati, erano notevolmente inferiori (5,0, 4,7 e 7,3 per cento). Conseguentemente, il rapporto tra tale gettito e il Pil è aumentato a partire dal 2001, crescendo di un punto percentuale tra 2000 e 2003 (vedi figura 1). Bisogna però considerare che la riforma comprendeva anche un deciso allargamento della base imponibile, riducendo deduzioni ed esenzioni10 . Quanto al Pil, non è chiaro in che misura la sua forte dinamica sia stata influenzata dalla flat tax. Probabilmente, l’aumento del prezzo degli idrocarburi ebbe un effetto rilevante (il prezzo del petrolio raddoppiò tra il 1998 e il 2002).



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