Parkinson: scoperta proteina che può bloccarlo



Perché la malattia di Parkinson con il passare del tempo è in grado di alterare le attività motorie di una persona fino a rendere impossibili anche azioni banali.



Il fatto è, che qualsiasi movimento che noi seguiamo per quanto banale possa sembrare, richiede una perfetta coordinazione di tutti i muscoli necessari, che a seconda dell’azione possono anche essere più di 10 il tutto nella frazione di secondo senza neanche farci caso. Tutto questo è possibile grazie al raffinato sistema di comunicazione dato dai neuroni cellule cerebrali specializzate nella trasmissione di segnali tramite l’uso di diversi segnalatori molecolari detti neurotrasmettitori, questi, sono molteplici ed ogni neurone produce esclusivamente un tipo, cosa che porta alla presenza del sistema nervoso zone ben definite gestite da uno specifico neurotrasmettitore.

Per comprendere nello specifico il Parkinson, bisogna inquadrare quella che è la dopamina un neurotrasmettitore prodotto da diverse zone del cervello, anche se quella che interessa noi è la Substantia Nigra, come neurotrasmettitore degno di questo nome, la dopamina viene continuamente prodotte da cumulata all’interno di vescicole nel citoplasma, quando si presentano le condizioni che inducono all’attivazione del neurone tali vescicole, si legano alla membrana tramite specifiche proteine liberano il contenuto, dove successivamente agiranno.

Trovata un importante proteina in grado di limitare i danni al cervello della malattia di Parkinson: si tratta della Sinapsina 3, e la sua modulazione “potrebbe veramente rappresentare una strategia terapeutica innovativa per la cura di questo disordine neurodegenerativo”.

E’ quanto sostiene un team di ricercatori dell’università di Brescia coordinato da Arianna Bellucci, associato di Farmacologia dell’ateneo bresciano. Tra gli autori del progetto di ricerca, durato più di due anni, figurano anche ricercatori dell’Istituto italiano di tecnologia, dell’Università di Padova e dell’Università di Lund in Svezia.

I risultati dello studio – finanziato dalla Michael J. Fox Foundation e pubblicato sulla rivista scientifica Acta Neuropathologica – hanno dimostrato che l’assenza di Sinapsina 3 blocca la formazione dei depositi proteici cerebrali che innescano la morte dei neuroni dopaminergici del sistema nigrostriatale, processo alla base dell’insorgenza dei sintomi motori del Parkinson.

“Dopo aver identificato un accumulo anomalo di Sinapsina 3 nel cervello dei pazienti con Parkinson – spiega Bellucci – ci siamo chiesti se questa proteina fosse implicata nella patogenesi della malattia e se potesse rappresentare un nuovo bersaglio terapeutico. Attualmente – continua – il nostro gruppo di ricerca sta lavorando intensamente in collaborazione con un team internazionale di ricercatori al fine di sviluppare nuovi approcci terapeutici attivi su Sinapsina 3. Questi ultimi – conclude la ricercatrice – permetterebbero infatti di curare i pazienti agendo sulle cause primarie della malattia e non soltanto di alleviarne i sintomi”. 

IL MORBO DI PARKINSON

La malattia di Parkinson è una patologia neurodegenerativa cronica e progressiva del sistema nervoso centrale, tipicamente caratterizzata dalla presenza di sintomi motori cardinali quali bradicinesia, rigidità e tremore, ai quali si associa instabilità posturale. Il coinvolgimento prevalentemente motorio della malattia ne determina il suo usuale inquadramento tra i disordini del movimento. La malattia consegue principalmente alla deplezione delle proiezioni dopaminergiche al nucleo striato come risultato della massiva degenerazione (oltre il 60% all’esordio dei sintomi motori) dei neuroni della pars compacta della substantia nigra.

Caratteristica distintiva neuropatologica è rappresentata dall’accumulo, soprattutto a livello della substantia nigra stessa, di inclusioni eosinofile filamentose intracitoplasmatiche denominate corpi di Lewy, costituite principalmente da aggregati di una proteina, la α-sinucleina, in forma alterata insolubile. La deposizione di tali aggregati è stata rilevata a livello di corpo cellulare e neuriti, non solo a livello del tronco encefalo, ma nella corteccia e, perifericamente, nel sistema nervoso enterico. È discusso se il riscontro di tale alterazione istologica rappresenti in sé la patologia primaria, o sia solo un indicatore del processo di neurodegenerazione.

La eziopatogenesi della malattia di Parkinson è attualmente sconosciuta, ma considerevoli prove ne individuano una origine multifattoriale, che coinvolge fattori genetici e ambientali. La diagnosi di Parkinson è eminentemente clinica e allo stato attuale basata sulla identificazione, durante un approfondito esame neurologico e dopo una accurata anamnesi, di segni e sintomi caratteristici della patologia, correlati al deficit dopaminergico conseguente alla degenerazione nigrostriatale, e sulla esclusione di eventuali sintomi atipici. La malattia di Parkinson idiopatica è caratterizzata da una progressione relativamente lenta e da una evidente risposta alla terapia farmacologica dopaminergica, che può tuttavia perdere di efficacia durante il corso naturale della malattia. A dispetto dell’enfasi posta sulla sintomatologia motoria, è apparso evidente negli ultimi anni come sintomi non motori e non dopaminergici siano presenti inevitabilmente nella progressione della patologia, e talvolta anche nella fase che precede l’esordio del disturbo motorio, e quindi la diagnosi clinica. I sintomi non motori possono divenire rilevanti nelle fasi più avanzate, assumendo un ruolo determinante sulla disabilità e sulla qualità della vita, anche in considerazione della scarsa responsività alla terapia con L-dopa.

Appare quindi necessario rileggere la tradizionale visione della malattia di Parkinson come disordine esclusivo del movimento e considerarla una sindrome complessa, di cui il quadro di deterioramento motorio costituisce solo la parte emersa di un iceberg. I substrati neuroanatomici e neuropatologici della maggior parte dei sintomi non motori sono sconosciuti e, considerata la varietà di questi, la questione è aperta ad ampie speculazioni fisiopatologiche. È stato suggerito che sintomi quali il deficit olfattivo, i disordini del sonno (REM sleep Behaviour Disorder – RBD), la depressione e la stipsi possano essere presenti anche prima dei disturbi motori.



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