Pensioni 2019, arrivano aumenti sull’assegno: ma non per molti



Buone notizie per tantissimi pensionati, visto che sono previsti aumenti per le pensioni che sono in arrivo nel 2019. A partire dal prossimo anno, dunque, ovvero dal primo gennaio 2019 tutti gli assegni pensionistici potranno godere di un aumento e tale sarà imputabile a quella chiamata perequazione automatica dell’importo all’inflazione, ovvero al costo della vita che è stata stimata dall’istat. Stano a quanto riferito, per il 2019 il D.M. 16 novembre 2018, pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso XXVI novembre 2018 ha fissato al 1,1% il tasso di perequazione sulle pensioni per un periodo compreso tra il primo gennaio del 2018 al 31 dicembre 2018, anche per il prossimo anno. Bisogna considerare che non si tratta però di un aumento definitivo visto che a partire dal prossimo anno qualcosa potrebbe anche cambiare e in tema di rivalutazione degli assegni previdenziali. Fino ad oggi a valere è il meccanismo previsto dalla legge numero 147 del 2013 che è stato poi confermato dalla legge numero 208 del 2015 che pare abbia interessato tutte quelle pensioni con decorrenza a partire dal 2014 fino al 2018.



Nel caso in cui non dovesse essere prorogato il sistema di calcolo attuale entrerebbe in gioco la legge numero 388 del 2000. Ma perchè aumentano le pensioni? Così come abbiamo già accennato il motivo per il quale tanti pensionati a partire dal prossimo mese di gennaio, potranno godere di un aumento pensionistico che è da attribuire al meccanismo di perequazione ovvero una rivalutazione del importo pensionistico che è legato direttamente all’inflazione.

Grazie a questa perequazione che diciamo è del tutto automatica, l’importo dell’assegno previdenziale sarà adeguato al costo della vita. Questo indice stato è risultato pari al 1,1%. Ci si chiede come possa avvenire la rivalutazione delle pensioni 2019 e va detto che a partire dal primo gennaio 2014 la legge di stabilità ha introdotto un sistema di rivalutazione che è suddiviso in cinque scaglioni che è stato poi prorogato dalla legge di stabilità 2016 fino al 31 dicembre 2018. Il Sistema nello specifico prevede che per le pensioni fino a tre volte il trattamento minimo l’adeguamento viene al 100%, mentre per le pensioni di importo superiore fino a 4 volte il trattamento minimo l’adeguamento avviene al 95%, per le pensioni di importo superiore e fino a 5 volte il trattamento minimo l’adeguamento risulta essere pari al 75%.

E ora per le pensioni di importo superiore fino a 6 volte il trattamento minimo l’adeguamento scende al 50% mentre per le pensioni di importo superiore a 6 volte il trattamento minimo l’adeguamento scende al 45%. Alla luce di questo momento, dunque, vediamo a quanto ammonteranno le pensioni nel 2019 con le pensioni minime che si passerà da 507,41 euro A 513 euro e l’assegno sociale con partenza da €453 euro a 458 e pensioni di invalidità civile da 282,54 a 285,60 euro.

Pensioni, tagli fino al 22% con Quota 100 con vincolo dei 38 anni per lasciare il lavoro

Le ultime novità in tema pensioni parlano di una riduzione fino al 22% dell’importo qualora si decida di usufruire della quota 100. Coloro che nel 2019, dunque, andranno in pensione anticipata con il meccanismo di Quota 100, percepiranno un assegno più basso rispetto a quello che avrebbero preso, aspettando di lasciare il mondo del lavoro in modo normale ovvero rispettando quelle che sono le regole attuali. A perdere maggiormente saranno quelli che otterranno la pensione il prossimo anno con 67 anni di età e 20 anni di contributi, oscillando da un minimo di circa il 16% fino ad un massimo del 22,3%. L’assegno, inoltre, sarà anche più basso rispetto a quello che il regime attuale della pensione anticipata ed in questo caso si parla di una perdita che va dal 3 al 22,3%. Parliamo di riduzioni di importo sull’assegno netto, ovvero tolte le tasse invece sul lordo la perdita sarà anche Maggiore.

Sono questi i dati piuttosto preoccupanti emersi dallo uno studio del sindacato guidato da Annamaria Furlan e che sono stati curati proprio da un esperto di previdenza Maurizio Benetti. Sulla base di questo dato si parla di tagli che purtroppo risultano essere inevitabile perché è frutto di anni di contributi minori versati e di un coefficiente di calcolo su un montante contributivo più basso rispetto a quanto si possa anticipare con  l’età di pensionamento.

Questi tagli però potrebbero anche far decidere molti lavoratori a non prendere in considerazione l’uscita anticipata aiutando anche in questo modo il governo a risparmiare e rimanere entro i limiti dello stanziamento per il 2019, così come è stato confermato dal Sottosegretario al lavoro Claudio Durigon che pare scenderà rispetto ai 6,7 miliardi che sono stati messi nella Legge di bilancio.

Il sindacato in questione esprime però alcuni dubbi, non tanto riguardo la riduzione della pensione quanto sul fatto che Quota 100 sarà sicuramente permesso a partire da un alto livello di contributi ovvero 38 anni e quasi poi si dovrà assommare un’età minima di 62 anni. Però anche se si dovesse salire dal punto di vista anagrafico e quindi 63, 64, 65 e 66 anni,  sembra che il paletto dei 38 anni resti sempre fermo, articolando quindi a Quota 100, 101, 102, 103 e così via. Quindi Quota 100 sarebbe una misura potenzialmente vantaggiosa per chi è entrato al lavoro intorno ai vent’anni. «Il massimo vantaggio rispetto alla pensione anticipata (5 anni e 3 mesi) lo ha chi è entrato al lavoro a 23-24 anni», è questo ancora quanto aggiunto da Durigon. Dunque, sulla base di questi dati Quota 100 non sarebbe una misura pensionistica così conveniente per tutti, come fino ad ora detto.



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