Psichiatri, più di 12 mila suicidi in Italia, per esperti emergenza sottovalutata



Il rischio suicidio è un fenomeno sottovalutato. Secondo i più recenti dati Istat – che si riferiscono agli anni 2011-2013 – in Italia sono state 12.877 le persone che si sono tolte la vita. Solo nel 13% di questi casi, però, era stata diagnosticata nel paziente una malattia mentale. Un problema globale: l’Organizzazione mondiale della sanità stima circa 880.000 morti per suicidio ogni anno nel mondo, un numero che potrebbe diminuire grazie a un nuovo approccio multidisciplinare che garantisca una connessione efficace ed empatica tra medico e paziente. Se ne è parlato durante il convegno ‘Disturbi affettivi e disturbi di personalità. Profili diagnostici e gestione clinico-terapeutica’, organizzato da Neomesia che riunisce a Firenze i maggiori esperti del settore.



Dai dati dell’ultimo osservatorio Istat si evince che, a fronte di 1.674 casi di suicidio (13%) in pazienti con diagnosi di malattia mentale – depressione maggiore, depressione minore e disturbo bipolare – si registrano 10.430 casi (81%) di suicidio in pazienti senza una diagnosi di disagio mentale. Il dubbio sul quale si interrogano gli esperti riguarda pertanto la necessità di definire se questi dati sono frutto di una mancata diagnosi o di una sottostima dei disturbi mentali e delle relative conseguenze.

Per rispondere a questo allarme e offrire sia ai pazienti con disturbi mentali lievi e gravi, sia ai professionisti che operano in questo settore gli strumenti clinici e terapeutici migliori – afferma Cosimo Argentieri, direttore sanitario di Neomesia e responsabile scientifico del convegno – è fondamentale definire un nuovo approccio diagnostico che possa offrire una presa in carico multidisciplinare del paziente. Il suicidio, oltre a essere conseguenza degli stati depressivi maggiori, è anche il risultato di una complessa interazione di fattori psicologici, biologici e sociali. Rappresenta uno stato della mente in cui il soggetto perde gli abituali punti di riferimento, si sente angosciato, frustrato, senza aspettative nel futuro. Occorre pertanto una presa in carico multidisciplinare per rispondere alle esigenze clinico-terapeutiche del paziente“.

All’incontro di Firenze si parla della modalità di gestione nell’attuale panorama epidemiologico e sociale a partire dal dibattito in corso in questi anni sulla necessità di identificare un nuovo approccio diagnostico e terapeutico. Secondo gli esperti, i tassi di suicidio potrebbero essere ridotti, promuovendo un nuovo approccio che consenta una connessione efficace ed empatica tra medico e paziente.”La suicidologia – spiega Maurizio Pompili, professore di psichiatria, direttore della scuola di specializzazione in psichiatria all’Università La Sapienza di Roma – la scienza dedicata alla prevenzione e allo studio scientifico del suicidio, si occupa di indagare il fenomeno e gli interventi volti a ridurne il rischio“.

All’interno di questa valutazione, continua Pompili, “è necessario effettuare domande esplicite. In molte occasioni, infatti, non si chiede nulla sul suicidio e troppo spesso si pensa erroneamente che indagare più profondamente sul tema del suicidio nel rapporto con il paziente possa consistere in un maggior rischio per l’individuo. Una prima indagine sui fattori di rischio e sull’intenzione di suicidio, invece, può già condurre a determinare l’entità del rischio come basso, medio, alto“. Gli esperti individuano delle semplici regole che il medico dovrebbe seguire nel comunicare con gli individui a rischio di suicidio.

Oltre a mantenere la calma ed ascoltare empaticamente il paziente, occorre formulare alcune semplici domande dirette, utili alla valutazione del rischio: ‘Ti senti triste?’, ‘Senti che nessuno si prende cura di te?’, ‘Pensi che non valga la pena di vivere?’, ‘Pensi che vorresti morire?’, ‘Ti è capito di fare piani per porre fine alla tua vita?’ Accanto all’approccio medico, anche per il caregiver esistono delle raccomandazioni che permettono di instaurare e mantenere un rapporto con la persona affetta da depressione e, in alcuni casi, individuare campanelli d’allarme che possono indicare tendenze suicide. In particolare, durante la comunicazione occorre che il caregiver ascolti attentamente e con calma; cerchi di comprendere i sentimenti dell’altro con empatia; emetta segnali non verbali di accettazione e rispetto; esprima rispetto per le opinioni e i valori della persona in crisi; parli onestamente e con semplicità.

IL SUICIDIO Il suicidio, dagli anni ’50, nelle regioni europee è cresciuto del 60%, soprattutto tra i giovani. E’ tra le prime dieci cause di morte, ed i tentativi di suicidio risultano venti volte maggiori dei suicidi stessi. Pur colpendo in modo particolare gli anziani rappresenta, nei giovani, la seconda causa di decesso; si configura quindi come uno dei maggiori problemi di salute pubblica. Il suicidio è determinato, come attesta la letteratura in merito, da una pluralità di fattori, biologici e sociali, che interagiscono tra loro.

FATTORI CHE INCIDONO SUL SUICIDIO O SUL TENTATIVO DI SUICIDIO La condotta suicidaria è associata a bassa autostima, a difficoltà interpersonali e intrapersonali, a mancanza di aspettative positive per il futuro e all’incapacità di trovare soluzioni alternative ai problemi. I fattori che espongono un individuo ad un elevato rischio di suicidio, o tentato suicidio, sono complessi e connessi tra loro. La capacità di identificare questi elementi risulta fondamentale ai fini della prevenzione; esiste, infatti, una correlazione tra la frequenza cumulata di eventi avversi ed il rischio di suicidio. Solitamente i fattori di rischio si suddividono in: Fattori individuali, riguardano gli aspetti biologici (età, sesso) e la storia personale di ogni soggetto -Età. In genere la percentuale di suicidi nelle persone sopra i 75 anni è di 3 volte maggiore di quella dei giovani. I parasuicidi risultano invece più comuni nella fascia giovanile, fenomeno che sembra spiegabile con una più forte impulsività nei giovani e, viceversa, con una maggiore pianificazione dell’atto nell’anziano. -Sesso. Il suicidio è più frequente nel sesso maschile (di 3 volte maggiore rispetto alle donne), contrariamente, il numero di parasuicidi compiuti da sesso femminile è superiore di circa 4 volte quello maschile. -Storia familiare problematica. Disturbi psichici, alcolismo, suicidio. -Storia familiare di perdita, abusi, abbandoni. -Precedenti tentativi di suicidio. Tale fattore aumenta il rischio di morte auto inflitta fino a 40 volte rispetto alla media, e si mantiene elevato per anni. Il 10-15% delle persone che hanno già tentato il suicidio riesce nel proprio intento. -Gravi e/o croniche patologie mediche. Il 20-50% dei tentativi di suicidio (specialmente in età avanzata) è riconducibile a una grave e dolorosa malattia fisica, spesso con prognosi negativa. -Abuso di alcool e altre sostanze. Il 15% delle persone con questo tipo di problema si suicida; ciò accade solitamente nelle fasi avanzate della malattia, in concomitanza al disgregarsi dei rapporti interpersonali, all’emarginazione sociale, all’indigenza e/o all’insorgere di problematiche fisiche. -Presenza di un disturbo mentale. Le malattie psichiatriche, insieme ad un precedente tentativo di suicidio, costituiscono il principale fattore di rischio. Il 40-50% dei suicidi presentano uno stato di depressione grave, ed il 90% delle persone che si toglie la vita soffre di un disturbo psichico o sono affette da dipendenze. Le patologie maggiormente associate al suicidio sono i disturbi maggiori dell’umore, con rischio maggiore soprattutto nelle prime fasi della malattia. I disturbi bipolari presentano un rischio particolarmente elevato nei momenti di viraggio; inoltre, i disturbi dell’umore con caratteristiche psicotiche sembrano comportare un rischio di suicidio 5 volte maggiore delle depressioni non psicotiche. Per gli schizofrenici sembra esserci un rischio del 15% di suicidio, soprattutto per i soggetti maschi, giovani, con buon funzionamento prima dell’esordio. Il suicidio, negli schizofrenici, si verifica in prevalenza nelle fasi di remissione dei sintomi floridi della malattia, quando avviene un’elaborazione depressiva del disagio. Ricerche sui giovani, che hanno commesso o tentato il suicidio, hanno evidenziato, nel 20-50% dei casi, la presenza di disturbi di personalità; i più frequenti sono il disturbo borderline, (circa il 10% si suicida, mentre un numero maggiore ricorre al comportamento parasuicidario senza intento letale), ed il disturbo antisociale (associabile ad un rischio inferiore, 5%, ma a condotte

parasuicidarie di tipo manipolativo superiore, circa il 50%), e anche il disturbo istrionico e narcisistico. Queste disturbi sono connotati da tratti di impulsività e aggressività1 . Fattori ambientali, riguardano il contesto sociale, che può determinare instabilità, ansia, insicurezza, frustrazione. -Problemi socioeconomici. Il suicidio è più frequente in soggetti disoccupati e/o in stato di indigenza. -Stato civile. La condotta suicidaria sembra maggiormente presente rispettivamente per i vedovi, divorziati, single (soprattutto uomini). Il matrimonio, e la presenza di figli piccoli, sembrerebbe un fattore di protezione. -Scarse relazioni sociali, mancanza di supporto -Famiglia problematica. -Problemi scolastici o lavorativi. Fattori precipitanti, situazioni di crisi che accrescono lo stato di ansia ed insicurezza. -Rottura di una relazione importante. -Perdita del lavoro. Il periodo immediatamente successivo alla perdita del lavoro si delinea come il momento più critico. -Suicidio di una persona cara, per il ruolo svolto dall’emulazione o identificazione -Eventi traumatici.

SEGNALI DI ALLARME. Particolare attenzione deve essere posta a quei segnali che potrebbero indicare un potenziale comportamento suicidario. • Segnali verbali. La persona parla di morte, afferma che a nessuno importerebbe della sua scomparsa. • Segnali comportamentali. Isolamento, stanchezza, agitazione, cambiamento delle abitudini legate al sonno e/o all’alimentazione • Malessere psichico. Umore depresso irritabile, ansia e attacchi di panico, perdita di interesse e piacere, sentimenti di colpa, scarsa autostima. • Comportamenti o idee auto lesive. • Abuso di sostanze. • Somatizzazione. Numerose richieste di visite mediche per disturbi fisici.



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