Sclerosi Multipla: scoperto farmaco che riduce atrofia del cervello



Questo articolo in breve

In Italia sono circa 5.000 i malati di SLA, con un tasso di prevalenza di 6-8 malati ogni 100.000 abitanti e con un’incidenza di 1-3 casi ogni 100.000 abitanti l’anno. L’aspettativa di vita dopo la diagnosi è mediamente di 3-5 anni, anche se il suo decorso cambia in ogni paziente. Alla luce di questo scenario le importanti novità annunciate dalla Società Italiana di Neurologia (SIN)in occasione della Giornata Nazionale della SLA, prevista per il prossimo 16 settembre, assumono un profondo significato.



Ricercatori americani guidati da neurologi della Cleveland Clinic hanno dimostrato che il farmaco Ibudilast riesce a ridurre l’atrofia del cervello nei pazienti colpiti da Sclerosi Multipla progressiva.

Il medicinale, in media, ha preservato 2,5 millilitri di tessuto cerebrale all’anno, misurato attraverso scansioni effettuate ogni sei mesi.

Sperimentato con successo un farmaco che ha dimostrato per la prima volta di ridurre l’atrofia cerebrale nei pazienti colpiti dalla forma più grave di Sclerosi Multipla, quella progressiva.

Il medicinale, un antiinfiammatorio chiamato Ibudilast utilizzato soprattutto in Giappone per il trattamento di ictus, asma e sclerosi multipla, ha ridotto in media di 2,5 millilitri l’anno la perdita di tessuto cerebrale dei pazienti rispetto a quelli trattati con placebo.

È la prima volta che viene osservato un simile processo, documentato grazie al lavoro di un team di ricerca della Cleveland Clinic in Ohio, la stessa che ha ridato il sorriso a Katie Stubblefield, la diciottenne che tentando il suicidio con un colpo di pistola devastò il proprio volto.

Gli scienziati, coordinati dal professor Robert J. Fox, neurologo presso la struttura sanitaria americana, per verificare gli effetti dell’Ibudilast hanno coinvolto 255 pazienti affetti dalla forma progressiva della Sclerosi Multipla, responsabile del declino cognitivo e funzionale provocato dalla demielinizzazione degli assoni, le fibre che mettono in comunicazione le cellule nervose.

I partecipanti sono stati suddivisi in due gruppi, uno trattato col farmaco – da assumere per via orale fino a 10 capsule al giorno – e uno con un placebo.

Il trattamento è durato 96 settimane (due anni), e ogni 6 mesi i pazienti sono stati sottoposti a scansioni cerebrali per valutare l’andamento dell’atrofia cerebrale, una delle conseguenze della malattia.

Dall’analisi delle immagini Fox e colleghi hanno determinano un rallentamento nella riduzione del volume cerebrale nei pazienti trattati col farmaco, pari a 2,5 millilitri preservati ogni anno.

“Questi risultati forniscono un barlume di speranza alle persone con una forma di sclerosi multipla che causa disabilità a lungo termine, ma che non hanno molte opzioni di trattamento”, ha dichiarato l’autore principale dello studio.

Tra gli aspetti positivi della sperimentazione, il fatto che gli effetti collaterali rilevati, in particolar modo problemi gastrointestinali come diarrea e nausea e mal di testa, non sono stati dissimili tra i due gruppi coinvolti.

Nonostante i risultati positivi sotto il profilo della preservazione del tessuto cerebrale, tuttavia, non è ancora chiaro se l’Ibudilast sia efficace anche nel ridurre il declino funzionale e cognitivo. Verranno condotte ulteriori indagini di approfondimento.

I risultati del promettente studio, sostenuto dal National Institute of Neurological Disorders and Stroke (NINDS) sono stati pubblicati sulla rivista scientifica New England Journal of Medicine. Fonte: scienze.fanpage.it

È avvenuto il primo trapianto di cellule staminali effettuato nel nostro paese su pazienti affetti da sclerosi multipla secondaria progressiva e pare che si sia concluso davvero positivamente. A questo progetto hanno partecipato medici specialisti piuttosto noti in ambito medico-scientifico e ad annunciare con grande orgoglio questo intervento è stato il dottore Angelo Vescovi direttore scientifico dell’ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo e dell’associazione revert Onlus presso il cui sito ufficiale è già precedentemente erano state aperte delle pagine per potersi candidare a questa procedura piuttosto avveniristica.

Più che altro Infatti si è trattata di una sperimentazione della fase 1 al fine di verificare l’impatto terapeutico e neurologico della somministrazione attraverso l’autorizzazione e coinvolgerà sempre un numero maggiore di pazienti ed una quantità superiore di cellule staminali da poter somministrare. Quanto emerso al momento pare siano state iniettate 5 milioni di cellule staminali per pazienti, ma questo numero sarà raddoppiato nel secondo gruppo di partecipanti e continuerà a salire anche nei prossimi e in totale saranno 15 i partecipanti coinvolti in questa fase di sperimentazione tutti di età compresa tra i 18 e i 60 anni.

“Siamo orgogliosi dei risultati raggiunti in questo prima parte della sperimentazione. I pazienti sono sotto controllo e stanno bene: non abbiamo rilevato alcuna evidenza di effetti collaterali. Quello intrapreso è un percorso lungo e complesso, ma la conclusione del trapianto sul primo gruppo di pazienti è un segnale positivo che rappresenta un nuovo traguardo per la ricerca scientifica italiana verso la cura delle malattie neurodegenerative. Per quanto si tratti di una sperimentazione di fase I, abbiamo costruito il disegno sperimentale in modo da avere qualche probabilità di potere evincere eventuali effetti terapeutici”, è questo quanto riferito da vescovi.

Nello specifico sembra che le cellule staminali siano state iniettate in un ventricolo laterale celebrale al fine di poterne agevolare la diffusione nel sistema nervoso centrale grazie al liquido cefalorachidiano o liquor cerebrospinale e pare che si tratti di cellule staminali prelevate da feti deceduti per cause del tutto naturali e che sono risultati efficaci nel trattamento di alcune malattie come la sclerosi laterale amiotrofica,la cosiddetta SLA. Questo trattamento è stata eseguita dal neurochirurgo Sandro Carletti, il responsabile del dipartimento di neuroscienze dell’ospedale Santa Maria di Terni una delle strutture coinvolte nella sperimentazione assieme alla fondazione cellule staminali di Terni, allo Swiss Institute for Regenerative Medicine e all’Ospedale Cantonale di Lugano.



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