Anna Foglietta interpreta la madre del piccolo Alfredino Rampi e si lascia andare



Una stona italiana, la miniserie in quattro episodi produzione Sky Originai che ripercorre la tragedia di Vermicino negli anni 80, in cui perse la vita Alfredino Rampi, di soli sei anni, caduto accidentalmente in un pozzo. Un evento doloroso che commosse l’Italia in diretta tv che appartiene alla memoria storica



«Se c’è per me una parola legata a questo lavoro è senz’altro ‘‘cura”» dell’Italia e da cui, però, è scaturito qualcosa di prezioso: la vicenda diede infatti un impulso decisivo alla costituzione della Protezione civile come la conosciamo oggi e alla nascita del Centro Alfredo Rampi, avviato giusto 40 anni fa dalla tenacia della madre di Alfredino, decisa a “convertire il suo lutto in un appello all’opinione pubblica. «Durante le riprese non ascoltavo altro che La cura di Franco Battiate», confessa la Foglietta. All’epoca della tragedia Anna era piccola, aveva due anni, ma ricorda ancora le raccomandazioni della mamma quando, ormai più grandicella usciva a giocare, ricordandole cosa era successo ad Alfredino.

Anna hai detto di tenere molto a questa serie, un progetto che ti ha coinvolta professionalmente ed emotivamente. Come lo definiresti?

«Se c’è una parola che per me è legata a questo lavoro è cura. Ho ascoltato spesso La Cura di Battiato durante le riprese. Mi ripetevo: “io avrò cura di te”. Volevo avere una cura particolare nel portare sullo schermo Franca Rampi, la grande dignità del suo dolore e la sua lotta perché quanto accaduto ad Alfredino non accadesse mai più.

Sentivo una grande responsabilità, la stessa che oggi mi rende particolarmente emozionata, come forse non lo sono mai stata, anche se sono un’attrice molto navigata avendo fatto molti film. Ho cercato di restituire tutto il lavoro che è stato fatto da tutti con rispetto e cura. La canzone di Battiato mi ha accompagnata tanto in questo tempo. Effettivamente penso che noi abbiamo trattato questo film come si fa con un figlio consapevoli che era di tutti. Come tale andava trattato. E il rispetto va a quella donna straordinaria che è Franca Rampi. Questo mio film lo dedico a lei».

Hai conosciuto la madre di Alfredino? Hai avuto modo di confrontarti con lei?

«No, non l’ho conosciuta per rispettare la sua volontà e la sua dignità. Noi lavoriamo soprattutto con personaggi d’immaginazione, non è detto che si debba conoscere la persona che si deve interpretare. Quando ho interpretato Nilde lotti ero diversa da lei, ma tutti mi hanno detto che ero identica: l’attore è pura generosità, fa di tutto per restituire una verità destinata a tutti».

Quanto è stato difficile per te raccogliere tutti gli elementi per costruire il ruolo di Franca Rampi?

«Penso che abbiamo affrontato questo film con una cura estrema. Un progetto corale, figlio di tutti. Ognuno ha dato qualcosa in più, non solo nell’interpretazione, ma nel sostenerci l’un l’altro perché sapevamo che questa storia era importante, sia per

tutti gli italiani che hanno sofferto ma soprattutto per la signora Franca Rampi. Non

l’ho conosciuta, ma credo di conoscerla. E una donna che stimo infinitamente, per la sua dignità nel dolore e per la sua umanità. Ha avuto una forza, un’energia, un’empatia straordinarie. Per interpretarla ho avuto il bisogno del supporto da parte di tutti, e ringrazio soprattutto il regista Marco Pontecorvo che mi ha aiutata molto».

Quale scena ti ha colpita e coinvolta di più?

«La scena di Franca che mangia il gelato è emblematica. La signora Rampi ha sofferto non seguendo una logica iconografica, tanto che poi ha avuto il plauso delle femministe italiane. In quel momento ha rispettato sé stessa, cosa in cui trovo un atto rivoluzionario: era a disposizione dei soccorritori, ha avuto un crollo psicofisico ed è stata aiutata con un gelato. Ma il coro era pronto a criticarla. Per quanto mi riguarda è stata la scena più violenta di tutta la miniserie, giudicare gli altri ci deresponsabilizza».



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