Stefano Accorsi 4 figli divisi con due donne, Laetitia Casta e Bianca Vitali



L’attore è protagonista della serie “Vostro onore” su Rai Uno in cui è un giudice e un padre diviso tra l’etica e la difesa degli affetti più cari in pericolo. «Mi sono chiesto cosa farei io se a compiere un reato fosse mio figlio. Credo che Tistinto di un genitore sia salvare la vita del proprio figlio, è una questione primordiale, non si tratta di una scelta»



Da padre mi sono chiesto cosa avrei fatto per salvare mio figlio». Stefano Accorsi torna in tv dopo anni di cinema, protagonista in Vostro onore, la nuova serie di Rai Uno in cui è diviso tra l’etica e l’amore per la famiglia.

La fiction è l’adattamento italiano della serie israeliana Kvodo, che ha avuto diverse versioni, compresa quella statunitense Your Honor con Bryan Cranston. Una storia che s’intreccia tra giustizia, relazioni umane, coscienza, conflitti interiori, che ha lasciato nell’attore bolognese molti interrogativi essendo padre di quattro figli: Orlando e Athena, rispettivamente di 15 e 12 anni, nati dal matrimonio con l’attrice e modella francese Laetitia Casta, celebrato nel 2003 e finito nel 2013; Lorenzo, 4 anni e mezzo, e Alberto, 1 e mezzo, avuti dall’attrice Bianca Vitali, sposata nel 2015.

Vostro onore è una fiction che racconta un conflitto morale. Quale? E che domande ha scatenato in lei? «È la storia di un conflitto morale, drammatico e assoluto di un uomo che deve scegliere tra la fedeltà ai principi etici di giustizia sui quali ha plasmato la sua vita personale e professionale, diventando un esempio di rettitudine e di affidabilità, e l’istinto ancestrale di difesa degli affetti più cari, in pericolo di essere annientati.

Interpreto Vittorio Pagani, un rispettato giudice milanese, in corsa per la carica di presidente del Tribunale di Milano. La recente scomparsa della moglie ha segnato la sua vita e compromesso il già delicato rapporto con suo figlio Matteo (Matteo Oscar Giuggioli), che un giorno investe e lascia a terra un giovane esponente della famiglia criminale dei Silva che Vittorio ben conosce, avendo fatto arrestare e condannare il loro capoclan anni prima. Se i Silva sapessero che l’autore dell’incidente è suo figlio non esiterebbero a ucciderlo.

Da questo momento in poi Vittorie! sarà disposto a tutto pur di proteggere suo figlio scendendo anche a compromessi illeciti. Non ho visto la serie israeliana e quella americana non era ancora uscita, quindi mi sono basato solo su questo copione. L’ho trovato da subito un progetto interessante, nella nostra versione è molto più presente la famiglia, questo rende ancora più italiana la serie e porta il pubblico a chiedersi: cosa farei io?».

Lei, da padre, se l’è chiesto? «Sì, da padre mi sono inevitabilmente fatto delle domande, mi sono chiesto cosa avrei fatto in una situazione del genere. È giusto quello che fa quest’uomo? Che cosa si è disposti a fare per salvare la vita di un figlio? Qui non si tratta di pensare che cosa si è disposti a fare per raccomandare un figlio, ma di salvargli la vita, una cosa sulla quale c’è una sola risposta: credo che l’istinto primordiale di un genitore sia salvare la vita del proprio figlio. Ci sono cose da-vanti-a cui non si riesce a riflettere, ma si agisce istintivamente».

Cosa le ha lasciato questo personaggio? «Molti interrogativi, essendo io stesso padre e avendo un figlio adolescente (ndr: Orlando di 15 anni)». In un momento storico in cui la giustizia è al centro del dibattito pubblico come pensa possa essere percepita la serie da casa? «La serie non crea un personaggio senza macchia e senza paura, Vittorio Pagani non è un eroe e non viene mai giustificato nelle sue azioni.

Credo che non renderemo né un buon servizio, né un cattivo servizio alla magistratura. Girando la serie II clan dei camorristi (ndr: fiction Media-set del 2013), ho avuto il piacere di conoscere il magistrato Raffaele Cantone che si è occupato del clan dei Casalesi. I suoi racconti sul crimine organizzato mi sono rimasti dentro. Da quell’incontro ho capito che il mondo della magistratura è fatto di rapporti non sempre semplici».

In questi anni ha privilegiato il cinema a dispetto della televisione, come mai? «Credo che gli elementi per fare una scelta siano sempre gli stessi. Per scegliere un progetto alla base c’è sempre il copione, la storia che andresti a portare in scena. Sono stato contento che Alessandro Casale sia stato il regista. È una serie molto coinvolgente, piena di colpi di scena.

Nel nostro Paese abbiamo competenze altissime, abbiamo avuto la possibilità di formare tante maestranze: credo che la serialità stia crescendo, è di grande qualità, sta dando tantissimo al settore, e alla Rai, che è il maggiore broadcaster di fiction, la possibilità di esplorare terreni differenti e penso che questo sia fondamentale, anche a livello globale.

Amo il mestiere dell’attore, mi piace raccontare storie in tutti i modi. Se ho avuto preconcetti sono stati spazzati via dai fatti». Come giudica oggi il mestiere di attore? «Io amo questo mestiere, è un lavoro che faccio con una grande passione e dedizione e ho avuto la fortuna di recitare in un ruolo bellissimo dopo tanti anni che mancavo dalla Rai. Io prediligo principalmente il lavoro di preparazione del personaggio, e in questo sono stato aiutato molto dal regista Alessandro Casale.

Un ulteriore stimolo l’ho trovato con Matteo Oscar Giuggioli, un giovane attore che non conoscevo e che mi ha passato l’entusiasmo. C’è un lavoro anche molto psicologico sui personaggi. La violenza non è mai manifesta, ma sottotraccia. È stato un set con ritmi serrati, senza sosta, dove non ci siamo risparmiati, e poi venivamo dal periodo del Covid in cui tante produzioni si erano fermate, per cui avevamo molta voglia di lavorare».



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