Costretto a guardare foto porno al lavoro



Un dipendente dell’azienda del trasporto pubblico di Milano, ATM, ha denunciato i colleghi per esposizione di immagini di donne in pose sexy, discorsi volgari e allusioni discriminatorie a causa del suo orientamento sessuale. Il tecnico, assunto da poco a tempo indeterminato, ha descritto un ambiente di lavoro degradante che comprometteva l’integrità fisica e morale dei dipendenti.



Secondo il dipendente, questi comportamenti erano sistematici e ripetitivi: “I colleghi parlavano sempre e solo di sesso”, ha raccontato. “Dalle 14 in poi, i discorsi si concentravano su argomenti osceni, mostravano pornografia e commentavano le poche donne presenti in officina con frasi volgari come ‘me la farei’. Mi mettevano alla gogna chiedendomi: ‘E tu, te la faresti?’ Io fingevo di ridere, ma dentro di me piangevo. Spesso mi rifugiavo in bagno per sfogarmi.”

In seguito alle sue lamentele, ATM ha diffuso un comunicato interno con cui il direttore del personale vietava l’esposizione di immagini pornografiche nelle stazioni della metropolitana, negli uffici e nei depositi. Le immagini incriminate sono state rimosse immediatamente.

Tuttavia, la questione è arrivata in Tribunale a causa della condotta inappropriata dei colleghi, oggi severamente punita dal Codice delle Pari Opportunità tra uomo e donna, che attribuisce all’azienda la responsabilità di garantire un ambiente di lavoro rispettoso dell’integrità fisica e morale dei dipendenti. ATM, davanti al giudice, non ha negato la presenza dei poster e del materiale pornografico, ma ha rifiutato l’accusa di condotte vessatorie e discriminatorie.

Il Tribunale di Milano ha dato ragione ad ATM, respingendo la richiesta di risarcimento del dipendente, che ammontava a circa 290mila euro. La giudice della sezione Lavoro ha stabilito che, sebbene il linguaggio tra colleghi fosse volgare, non c’era un intento vessatorio. Le conversazioni potevano avere uno sfondo sessuale, ma non si è dimostrato che mirassero a deridere o mettere in difficoltà il dipendente per il suo orientamento sessuale.

Le immagini rimosse, pur offensive per la dignità delle donne, non sono state ritenute sufficienti per attribuire responsabilità all’azienda. La giudice ha osservato che, in un grande reparto di riparazione dei vagoni del metrò, solo alcune immagini erano vicino all’armadietto del dipendente.

L’avvocato del dipendente, Domenico Tambasco, ha annunciato l’intenzione di ricorrere in appello: “È una sentenza che enuncia principi regressivi,” ha dichiarato. “Va in totale controtendenza rispetto all’orientamento del Tribunale di Milano, che è sempre stato all’avanguardia nella tutela dei diritti civili, anche sul posto di lavoro. Non è condivisibile l’idea che l’incidenza delle immagini oscene dipenda dalla grandezza degli ambienti in cui sono collocate, né che le battute a sfondo sessuale siano accettabili solo perché avvengono in un’officina.”

Questa vicenda solleva importanti questioni sulla necessità di garantire un ambiente di lavoro rispettoso e privo di molestie, indipendentemente dal contesto. Il ricorso in appello potrebbe portare a un riesame delle pratiche aziendali e delle tutele per i lavoratori in situazioni simili.



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