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Dimesso con diagnosi di lesione muscolare, morì per infarto: condannati dottore e Asl, pagheranno 1,6 milioni



L’Azienda ospedaliera di Pisa (Aoup) e un medico del pronto soccorso sono stati condannati a risarcire con 1,6 milioni di euro i familiari di Giovanni D’Angelo, imprenditore 29enne di Cascina, deceduto il 4 gennaio 2010 a causa di un infarto non diagnosticato. La sentenza del tribunale civile, emessa 15 anni dopo i fatti, ha stabilito che la morte dell’uomo non è stata causata da uno strappo muscolare, come erroneamente diagnosticato, ma da un infarto in corso.



Il caso: diagnosi errata e tragico esito

Secondo la ricostruzione, Giovanni D’Angelo si era presentato al pronto soccorso dell’ospedale di Pisa in codice rosso, lamentando dolori al petto sul lato sinistro. Tuttavia, al triage gli era stato assegnato un codice verde, ritenendo che il dolore fosse di natura muscolo-scheletrica. Il medico di turno aveva prescritto antidolorifici per trattare uno strappo muscolare e il giovane era stato dimesso senza ulteriori accertamenti.

Le condizioni dell’uomo, tuttavia, non migliorarono e poche ore dopo, a casa, morì a causa di un infarto in corso da almeno 12 ore, come rivelato dall’autopsia successiva. La diagnosi iniziale si era dimostrata tragicamente sbagliata.

Le accuse dei familiari e la sentenza del tribunale

La famiglia di Giovanni D’Angelo, devastata dalla perdita, ha intentato causa contro l’ospedale e il medico responsabile. Il procedimento legale si è concentrato sulla valutazione del tracciato cardiaco effettuato durante il ricovero e sulle testimonianze dei sanitari coinvolti.

Il giudice ha parzialmente rigettato le conclusioni dei consulenti tecnici d’ufficio, ritenendo non convincente l’affermazione secondo cui la vittima non avrebbe riferito una familiarità con patologie cardiache. Questo dettaglio, infatti, era stato segnalato alla prima dottoressa che aveva visitato il paziente. La sentenza ha dunque riconosciuto una responsabilità congiunta del medico e dell’Aoup, condannandoli al risarcimento per danni morali e materiali.

Un risarcimento simbolico per una tragedia evitabile

La condanna prevede un risarcimento di 1,6 milioni di euro ai familiari dell’imprenditore, una cifra che non potrà mai compensare la perdita subita. La vicenda di Giovanni D’Angelo rappresenta un caso emblematico delle gravi conseguenze che possono derivare da una diagnosi errata e sottolinea l’importanza di un’attenta valutazione dei sintomi, soprattutto in situazioni di emergenza.

La famiglia, che ha lottato per 15 anni per ottenere giustizia, spera che questa sentenza possa contribuire a prevenire errori simili in futuro, rafforzando l’attenzione nei protocolli diagnostici e il rigore delle procedure mediche.



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