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Detenuto pestato a sangue nel carcere di Rebibbia: è in coma con gravi lesioni cerebrali



Un gravissimo episodio di violenza si è verificato nel carcere di Rebibbia, a Roma, dove un detenuto di 45 anni, identificato con le iniziali F.V., è stato vittima di un brutale pestaggio. L’uomo, originario di Fondi e impiegato come cameriere, era detenuto per un’accusa di stalking nei confronti della moglie. La vicenda ha avuto inizio il 30 giugno scorso, quando l’uomo è stato trovato in condizioni critiche all’interno della struttura penitenziaria e successivamente trasferito d’urgenza al Policlinico Umberto I.



Secondo le ricostruzioni, F.V. era stato inizialmente incarcerato presso la struttura di Cassino, dove aveva trascorso circa un mese e mezzo. Per ragioni che non sono ancora state chiarite, il detenuto è stato poi trasferito al carcere di Rebibbia. Qui si sarebbe consumato l’aggressione che lo ha ridotto in fin di vita. Al momento, i responsabili del pestaggio non sono stati identificati, e le indagini per ricostruire quanto accaduto sono in corso.

Le condizioni del quarantacinquenne sono estremamente gravi: attualmente si trova in coma e presenta lesioni cerebrali significative. Per garantirgli la sopravvivenza, i medici del Policlinico Umberto I hanno dovuto procedere con una tracheotomia. Nonostante gli sforzi del personale sanitario, il quadro clinico rimane critico, e il futuro dell’uomo appare incerto.

La vicenda ha suscitato profonda indignazione e preoccupazione anche da parte del sindacato della polizia penitenziaria. Il segretario generale Aldo Di Giacomo ha espresso la sua opinione sul caso, definendolo “di una gravità assoluta”. In una dichiarazione ufficiale, ha sottolineato che su episodi del genere “non può calare il silenzio”. Ha inoltre fatto riferimento a un altro caso avvenuto recentemente nel carcere di Prato, dove un detenuto romeno di 58 anni è stato trovato morto in circostanze sospette: “Si sta ripetendo quanto è già avvenuto due settimane fa a Prato, dove un detenuto romeno di cinquantotto anni è stato trovato morto e si continua ad indagare per omicidio. Sono entrambe vicende che richiedono risposte dovute non solo ai familiari dei detenuti ma all’intera opinione pubblica, perché non si può derubricarle, allo stesso modo dei suicidi – già 46 dall’inizio dell’anno a cui aggiungere 96 decessi per ‘altre cause’ di cui almeno una trentina in circostanze che ricordano il suicidio – per ‘eventi inevitabili’”.

Le parole di Di Giacomo evidenziano una problematica più ampia legata alla gestione delle carceri italiane e alla sicurezza dei detenuti. I dati riportati dal segretario generale sono preoccupanti: dall’inizio dell’anno si contano già 46 suicidi nelle carceri italiane, oltre a 96 decessi attribuiti a “altre cause”, di cui almeno una trentina avvenuti in circostanze che richiamano il suicidio. Questi numeri sollevano interrogativi sulla capacità delle strutture penitenziarie di garantire un ambiente sicuro e dignitoso per i reclusi.

La situazione nel carcere di Rebibbia rappresenta un caso emblematico che mette sotto la lente d’ingrandimento le condizioni di detenzione nei penitenziari italiani. La violenza subita da F.V. e il mistero che avvolge i responsabili del pestaggio richiedono un approfondimento immediato da parte delle autorità competenti. Al momento, non sono stati forniti dettagli su eventuali sospetti o indizi che possano condurre agli autori dell’aggressione.

La famiglia del detenuto e l’opinione pubblica attendono risposte chiare e azioni concrete per evitare che episodi simili possano ripetersi. La sicurezza all’interno delle carceri non deve essere sottovalutata, e garantire la tutela dei diritti dei detenuti è una responsabilità che lo Stato italiano non può ignorare.

Il caso di F.V. si inserisce in un contesto più ampio di criticità legate al sistema penitenziario italiano. Le morti sospette, i suicidi e gli episodi di violenza all’interno delle carceri sollevano interrogativi urgenti sulla capacità delle istituzioni di prevenire tali tragedie e assicurare condizioni umane ai detenuti. La vicenda richiede una risposta rapida e trasparente da parte delle autorità giudiziarie e politiche, affinché si faccia luce su quanto accaduto e si intervenga per migliorare la situazione nelle carceri del Paese.



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