Nel corso della puntata di Belve Crime andata in onda l’10 giugno 2025, Eva Mikula ha ripercorso la sua relazione con Fabio Savi, uno dei membri della sanguinaria banda della Uno Bianca, attiva tra gli anni 1987 e 1994 e responsabile di 24 omicidi e oltre 100 feriti .
All’epoca minorenne, la donna emigrata dalla Romania e divenuta cameriera in Ungheria, racconta di aver conosciuto Savi nel 1992, quando lui era già sposato, di 15 anni più grande e con un figlio. Spinta da una mancanza di figure paterne, si trasferì con lui nella zona di Torriana, in provincia di Rimini .
Mikula sostiene di essere stata inizialmente inconsapevole della reale entità dei crimini di cui Savi era autore: «Non sapevo dove era la bugia e dove la verità» . L’uomo mostrava un lato affettuoso, ma alternava gesti violenti e minacce — persino con la pistola — creando in lei paura e dipendenza .
Al momento dell’arresto di Savi, avvenuto il 24 novembre 1994 in un autogrill sull’autostrada Udine–Tarvisio, Mikula si trovava con lui e subito dopo fu interrogata decisamente dalle forze dell’ordine . In quell’occasione scelse di collaborare, consentendo di ricostruire movimenti, complicità e dinamiche della banda .
Nel corso dell’intervista a Francesca Fagnani, ha dichiarato: «Fu difficile denunciare Savi, all’epoca lo amavo. Non sono stata complice, ho parlato» . Una presa di posizione forte, che ribadisce anche alla domanda se fosse stata opportunista: «Non vedo opportunismo nella mia scelta, mi sarei evitata tante cose. Ho salvato delle vite» .
La scelta ha però comportato un’onda lunga di critiche e accuse, con l’opinione pubblica spaccata tra chi la considera “complice” e chi invece riconosce il suo contributo determinante . Per decenni la donna ha affermato di essere stata definita “la dark lady”, insultata e vista come istigatore al suicidio, tanto da dichiarare: «Io attendo delle scuse dai familiari delle vittime» .
Il presidente dell’Associazione familiari delle vittime, Alberto Capolungo, ha respinto queste richieste come «il mondo alla rovescia», aggiungendo: «Se ha qualcosa da dire, si rivolga ai magistrati» . Secondo Capolungo, Mikula ha fatto le sue scelte e non può aspettarsi scuse da famiglie che hanno sofferto lo strazio della perdita .
Dopo i sette processi che hanno portato all’ergastolo dei fratelli Savi e ad altre severe condanne, Mikula ha evitato il carcere per gravi reati. È stata condannata a 14 mesi con pena sospesa per documenti falsi, detenzione di armi e sottrazione di denaro, scontando solo ammende .
Nel 2021 ha raccontato la sua versione dei fatti nel libro autobiografico Vuoto a perdere, scritto con il giornalista Marco Gregoretti . In esso ripercorre gli anni di violenza, manipolazione e paura vissuti accanto a Savi, fino alla dolorosa decisione di rompere il silenzio.
Oggi, secondo alcune fonti, lavora nel settore immobiliare tra Roma e Londra e convive con il peso del passato . Nonostante gli attestati di accuse e fraintendimenti, sostiene che la sua testimonianza sia stata cruciale: «La banda fu arrestata grazie a me» .
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