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Giovanni Brusca, l’ex boss mafioso responsabile della strage di Capaci, è ora un uomo libero dopo aver scontato la sua pena, inclusi gli anni di libertà vigilata



Giovanni Brusca, noto come il boss mafioso di San Giuseppe Jato e figura chiave dei Corleonesi, è ufficialmente un uomo libero. L’uomo che nel 1992 azionò il telecomando che fece esplodere l’autostrada a Capaci, uccidendo il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta, ha completato la sua condanna. Brusca, oggi 68enne, ha terminato anche i quattro anni di libertà vigilata che gli erano stati imposti dopo la scarcerazione avvenuta nel 2021, chiudendo così definitivamente il suo debito con la giustizia italiana.



Il percorso giudiziario di Brusca è stato segnato da una collaborazione con la giustizia che gli ha permesso di ottenere significativi sconti di pena. Dopo il suo arresto nel 1996, ha deciso di collaborare con le autorità, fornendo dettagli cruciali sui meccanismi interni di Cosa Nostra e sui numerosi crimini di cui si era reso responsabile. Questo ha portato alla condanna di decine di mafiosi e all’emissione di sentenze in diversi processi penali.

Grazie al suo status di collaboratore di giustizia, riconosciuto ufficialmente nel 2000, Brusca ha evitato l’ergastolo. Nel 1997, per il processo relativo alla strage di Capaci, gli furono inflitti 27 anni di carcere anziché l’ergastolo. Una situazione simile si verificò nel 1999, quando gli furono comminati 30 anni per il sequestro e il brutale omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di un pentito, ucciso per vendetta e sciolto nell’acido.

Durante i vari procedimenti, Brusca ha ammesso le sue responsabilità, dichiarando di aver eseguito o ordinato oltre 150 omicidi. Ha anche chiesto pubblicamente perdono ai familiari delle vittime, ma ciò non ha placato le polemiche suscitate dalla sua scarcerazione nel 2021, né quelle generate dalla notizia della sua libertà definitiva. La vedova di Antonio Montinaro, capo scorta di Giovanni Falcone, ha espresso il suo disappunto: “Questa non è giustizia per i familiari delle vittime della strage di Capaci e di tutte le altre vittime. Lo so che è stata applicata la legge, ma è come se non fosse mai successo niente…”. Tina Montinaro ha aggiunto: “Sì, è vero, ha iniziato a collaborare con la giustizia, ma non bisogna assolutamente dimenticare che anche i collaboratori sono dei criminali. Non sono diventate persone per bene”.

Dopo la scarcerazione, Brusca ha vissuto sotto falsa identità e lontano dalla Sicilia, protetto dal programma di protezione testimoni. Anche ora, sebbene sia libero, continuerà a essere tutelato dal medesimo programma per evitare ritorsioni da parte dei suoi ex sodali. Durante gli anni trascorsi in libertà vigilata, infatti, ha dovuto nascondersi non solo dalle autorità ma anche dai membri stessi di Cosa Nostra, che lo considerano un traditore.

La sua collaborazione con la giustizia italiana ha rappresentato un punto di svolta nella lotta contro la mafia, ma ha anche sollevato un acceso dibattito sull’equità delle leggi che regolano i benefici concessi ai pentiti. Le polemiche riguardano in particolare il fatto che un uomo responsabile di crimini così efferati possa oggi essere libero. Tuttavia, la legge italiana prevede che chi collabora in modo significativo con le autorità possa ottenere sconti di pena, come è avvenuto nel caso di Brusca.

La vicenda di Giovanni Brusca continua a dividere l’opinione pubblica e a suscitare reazioni contrastanti. Da un lato, c’è chi riconosce il valore delle informazioni fornite dal pentito, che hanno permesso di smantellare parte dell’organizzazione mafiosa. Dall’altro, c’è chi ritiene inaccettabile che un uomo responsabile di così tanti crimini non abbia scontato l’ergastolo.



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