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Mi sono svegliata dal coma con amnesia: poi ho ricordato l’ultima ora con mio marito prima dell’incidente, e mi sono spaventata a morte



Il dolore ha il potere di rivelare la verità. L’ho imparato solo dopo essermi risvegliata dall’oscurità, scoprendo che la mia vita non era affatto come pensavo… e che l’uomo di cui mi fidavo di più avrebbe potuto distruggerla completamente.



Mi sono svegliata sentendo chiamare il mio nome, mentre il rumore continuo delle macchine ospedaliere rimbombava attorno a me.

«Mary? Mary, mi senti?»

La stanza d’ospedale mi apparve lentamente a fuoco: pareti bianche e impersonali, monitor che emettevano suoni ritmici e il volto di mio marito che si stagliava sopra di me, le guance rigate di lacrime.

«Oh mio Dio, sei sveglia», sussurrò Damian, stringendomi la mano. Le sue nocche erano bianche per la forza della stretta, ma io riuscivo a malapena a sentirla. Il mio corpo sembrava distante, quasi fluttuassi appena sopra me stessa.

«Cos’è successo?» domandai con voce roca, la gola irritata e dolente.

«Un incidente. Stavamo guidando e…» la sua voce si incrinò, «sei in coma da quasi sei mesi. I medici non erano sicuri che ti saresti svegliata.»

Provai ad alzarmi, ma i muscoli non rispondevano. Ogni parte di me era pesante, come zavorrata.

«Zoe? Dov’è Zoe?» Il panico mi travolse al pensiero della nostra bambina di cinque anni.

«Sta bene. È con tua madre. Domani verrà a trovarti.» Damian mi baciò la mano. «Pensavo di averti persa, Mary. Non so cosa avrei fatto se non fossi tornata da me.»

Chiusi gli occhi, cercando di ricordare l’incidente. Ma… nulla. Solo un’enorme voragine al posto dei ricordi.

«Non ricordo niente dell’incidente», dissi, con la paura che iniziava a insinuarsi.

Damian mi accarezzò dolcemente i capelli. «I medici hanno detto che è normale. Va bene così. Ti aiuterò a ricordare solo ciò che conta.»


Due settimane dopo ero sul divano, guardando Zoe mentre disponeva con cura i suoi peluche per una cerimonia del tè. Il mio corpo guariva più in fretta del previsto, ma la mente era ancora un puzzle incompleto.

«Mamma, quando bevi devi tenere il mignolo sollevato», mi istruì, mostrandomelo con il suo ditino alzato.

Imitai il suo gesto e lei rise, un suono dolce come il sole dopo la pioggia. «Così va bene, principessa?»

«Perfetto!» rispose sorridendo, mostrando il vuoto del dentino mancante.

Damian entrò nella stanza, ci osservò con dolcezza. «Come stanno le mie regine?»

«Stiamo organizzando un ricevimento reale», dissi sollevando il mignolo.

Si sedette accanto a me, abbracciandomi. Da quando ero tornata a casa, non si allontanava quasi mai. Un marito premuroso, un padre devoto.

«Ha chiamato il medico», sussurrò. «Il prossimo controllo è martedì.»

Annuii, ma dentro di me montava l’ansia. Ogni visita era un promemoria della mia fragilità, della mia mente ancora incompleta.

«Guarirà la memoria della mamma?» chiese Zoe, con gli occhi grandi e preoccupati.

Damian ed io ci scambiammo uno sguardo. «I ricordi sono complicati», le spiegò lui. «Ma possiamo crearne di nuovi, insieme.»

Zoe annuì seria, poi tornò a versare il suo tè immaginario.

Mi appoggiai alla spalla di Damian. «Non ti merito», sussurrai.

«Sei tu che meriti tutto il bene del mondo», rispose lui. «Sono io che non ti merito.»

«Perché dici questo?»

Non rispose. Mi strinse più forte e sospirò, rivelando più di quanto volesse ammettere.


Durante la convalescenza, la cucina era diventata il mio rifugio. Cucinare aveva qualcosa di terapeutico. Preparavo il sugo preferito di Damian. Zoe era a una festa, Damian sarebbe tornato a breve. Una giornata normale.

Poi il coltello mi scivolò, ferendomi il dito.

«Accidenti!» Lasciai cadere il coltello. Il sangue sgorgava dal taglio. Cercai un tovagliolo, ma nella fretta rovesciai una ciotola di vetro che si frantumò al suolo.

Il rumore mi colpì come un’esplosione. Le gambe cedettero, caddi in ginocchio. Premetti le mani sulle tempie.

Ed ecco che arrivò: il ricordo. Non un frammento, ma tutto, all’improvviso.

Damian guidava, la mascella serrata. Io piangevo. Avevamo appena litigato.

«Ho incontrato qualcun altro. Si chiama Blake. Va avanti da quasi un anno.»

«Cosa?»

«Voglio che Zoe venga con noi. È finita.»

«Noi chi?»

«Io e Blake. Non potrai tenerla. Chi sei senza di me?»

Tentai di slacciarmi la cintura. «Fammi scendere. Ora.»

Damian mi guardò freddamente. «Non essere drammatica.»

Poi… i fari. L’impatto. Il dolore. Il nulla.


Quando Damian rientrò, ero già seduta nella cucina pulita. Nessun vetro rotto. Nessun sangue. Solo io… e la verità.

«Mary? Perché sei al buio? Dov’è Zoe?»

«Da Melissa. Ho detto a sua madre che non mi sentivo bene.»

Si avvicinò. «Chiamo il medico?»

Mi ritrassi. «Mi sono ricordata.»

«Ricordato cosa?»

«L’incidente. Il litigio. Blake. I tuoi piani per portarmi via nostra figlia.»

Il suo volto impallidì. «Mary, io…»

«Non mentire. Ricordo tutto.»

Si sedette. «Non doveva andare così.»

«Come? Mi lasci? O lo scopro io?»

«L’incidente… tu ferita… non doveva succedere.»

«E allora spiegami: come hai fatto a uscirne illeso?»

«Il lato colpito era il tuo. Io sono stato sbalzato via. Avevo fratture… ma tu…» Si coprì il viso. «Non pensavano saresti sopravvissuta.»

«Dov’è Blake?» domandai.

«Sparito. L’ho lasciato la sera dell’incidente.»

Risi amaramente. «Conveniente.»

«È la verità. Ho capito quanto ti amavo solo quando ti stavo perdendo.»

«Mi stavi portando via Zoe.»

«Lo so. Sono stato un egoista. Ma sono cambiato. Non sono più quell’uomo.»

«Nemmeno io sono la stessa donna.»


La luce dell’alba filtrava dalla finestra. Avevamo parlato tutta la notte.

Damian mi aveva confessato tutto: la relazione nata da un’infatuazione, la paura di invecchiare, l’egoismo.

«Farò tutto ciò che serve», disse. «Terapia, qualsiasi cosa. So di non meritare una seconda possibilità, ma ti chiedo di provarci.»

Fissai la fede al dito. «Non so se potrò mai più fidarmi di te.»

«Lo capisco. Ma lotterò per riconquistarti.»

La porta si aprì. Era Zoe, di ritorno dalla festa.

«Mamma, papà… perché siete tristi?»

La strinsi forte. «Anche i grandi hanno sentimenti grandi, tesoro.»

«State litigando?»

Damian si inginocchiò. «Stiamo affrontando un momento difficile. Ma ti amiamo più di ogni altra cosa.»

«Promesso?»

«Promesso», le dissi baciandole la testa.

Sopra la sua testolina, i miei occhi incrociarono quelli di Damian. C’erano dolore… e speranza.

«Non so cosa accadrà», sussurrai.

«Qualunque cosa tu decida, la rispetterò. Ma io non rinuncio a noi.»

Chiusi gli occhi, stringendo Zoe. Non ero più la stessa. Ma una cosa era certa: avrei lottato per ciò che conta. Per mia figlia. Per me.

E forse, se lui lo avesse dimostrato davvero… anche per noi.

«Un giorno alla volta», dissi infine.

Damian sorrise piano. «Un giorno alla volta. Da oggi.»



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