Parmareggio e Coop ritirano scamorza bianca a fette, allarme per la salute



È stata riscontrata la presenza del batterio Escherichia coli in alcuni campioni dei prodotti “scamorza bianca a fette” marchio Coop e “Cuor di Fette” della Parmareggio. Il Ministero della Salute ha immediatamente ordinato il ritiro, specificando che soltanto alcuni lotti sono interessati dall’ordinanza. Le confezioni da 140 grammi, prodotte nello stabilimento di via Togliatti a Modena da Parmareggio Spa, possono essere riconsegnate al punto vendita per ottenere il rimborso. Si sospetta una contaminazione nella materia prima durante la fase di produzione.

Si raccomanda di non consumare la scamorza bianca a fette Coop e Parmareggio con i numeri di lotto e le scadenze segnalate e di restituirla al punto vendita d’acquisto per il rimborso.

Per ulteriori informazioni, è possibile contattare Coop al numero verde 800 805580. Dal 1° gennaio 2018, Il Fatto Alimentare ha segnalato 112 richiami, per un totale di 186 prodotti, e una revoca.



Si tratta di un enterobatterio e rappresenta il microrganismo prevalente nella flora intestinale che colonizza il colon degli esseri umani. Alcuni ceppi di questa specie di batteri sono in grado di causare infezioni con sintomi più o meno gravi e marcati.

L’Escherichia Coli è un batterio davvero molto insidioso, presente in acque inquinate da feci e che può essere devastante per l’apparato digerente e provocare nausea, fortissimi crampi addominali, diarrea e vomito.

La malattia è stata anche segnalata in altre parti dell’Asia e degli Stati Uniti d’America, in Canada, in Africa e nell’Europa meridionale, anche se casi di malattia per consumo di prodotti importati possono verificarsi ovunque. Al di fuori del Giappone, le infezioni sono spesso associate al consumo di ostriche crude, poco cotte o per cross-contaminazione. I sintomi predominanti sono nausea, vomito, diarrea, crampi addominali e febbre. Il periodo di incubazione è compreso tra le 4 e le 96 ore (con una media di 15 ore) e la durata media della malattia è di 2,5 giorni. Non tutti i ceppi di V. parahaemolyticus sono patogeni e la maggior parte di quelli trovati nell’ambiente e nei molluschi bivalvi non causano gastroenteriti. La patogenicità di un ceppo dipende dalla presenza di specifici geni, quindi sono necessari dei test molecolari specifici per confermare che un ceppo isolato dai molluschi bivalvi possa essere in grado di causare la malattia.

Il V. vulnificus può causare infezioni delle ferite, se dei tagli aperti entrano in contatto con acqua di mare o con superfici contaminate con il microrganismo. Può anche causare una forma setticemica primaria entrando attraverso il tratto intestinale, in genere dopo aver mangiato ostriche contaminate. Entrambe le infezioni, da ferita e da setticemia, possono essere fatali, con un tasso di mortalità del 7-25 % per il primo caso e di circa il 50 % nel secondo caso. La setticemia da V. vulnificus è di solito associata a malattie preesistenti come diabete, malattie epatiche, renali o immunitarie. Il periodo di incubazione può variare da 7 ore a diversi giorni e senza un rapido trattamento specifico la morte può verificarsi entro poche ore dalla prima manifestazione dei sintomi. La maggior parte dei casi e dei decessi associati a questo organismo sono stati segnalati nella Costa del Golfo degli Stati Uniti d’America, ma ci sono state segnalazioni di infezioni anche in Asia. Si sospetta che i ceppi differiscano per la loro capacità di causare malattia, ma ciò non è ancora stato definitivamente provato.

Le infezioni da ferite associate con la gestione dei pesci (tra cui le anguille) sono state riscontrate anche nel nord Europa e in Israele, dove però non è stato segnalato alcun caso di setticemia primaria derivata dal consumo di ostriche.
I ceppi di V. cholerae variano notevolmente nelle loro caratteristiche. Molto probabilmente alcuni ceppi non possono causare infezioni gastrointestinali nell’uomo, mentre altri sono in grado di causare una grave diarrea acquosa, il colera, che può essere fatale e trasformarsi in epidemia o pandemia. Altri ceppi ancora possono causare una forma di gastroenterite più simile a quella provocata da Salmonella (di solito singoli casi o focolai di piccole dimensioni). I ceppi (enterotossigeni V. cholerae O1) associati al colera di solito sono trasmessi per contaminazione fecale di acqua potabile o di alimenti, questi ultimi spesso inquinati attraverso l’acqua di risciacquo, ecc. Sono stati riportati casi di trasmissione tramite consumo di molluschi bivalvi crudi o poco cotti. Gli altri ceppi patogeni (V. cholerae non-O1) possono trovarsi naturalmente nell’ambiente marino e sono stati segnalati negli Stati Uniti d’America.

Le malattie gastrointestinali da Shigella spp. e Campylobacter spp. associate al consumo di molluschi bivalvi sono state segnalate negli Stati Uniti d’America ma non in altri paesi. Questo può essere dovuto alla diversa efficacia dei test diagnostici e dei sistemi di report epidemiologici piuttosto che a reali differenze geografiche nell’insorgenza di tali infezioni.
In aggiunta ai microorganismi confermati come causa d’infezioni associate al consumo di molluschi bivalvi, altri agenti patogeni per l’uomo sono stati ritrovati al loro interno, ma non vi sono attualmente prove valide che dimostrino che questi possano causare la malattia attraverso il consumo dei molluschi bivalvi (Cryptosporidium, Giardia e microsporidi).
L’infezione da Listeria monocytogenes da consumo di molluschi bivalvi è finora stata legata solo al prodotto affumicato (mitili in particolare) e non al prodotto consumato vivo o cotto.

REQUISITI NORMATIVI

L’attuale politica internazionale sulla sicurezza alimentare si basa sul controllo degli alimenti tramite l’analisi del rischio. L’analisi del rischio comprende tre elementi:
• La valutazione del rischio, che è la valutazione scientifica degli effetti sulla salute noti o potenziali derivanti dall’esposizione umana ai pericoli di origine alimentare;
• La gestione del rischio, che è il processo mediante il quale si stima il rischio e si sviluppano le strategie più adeguate per governarlo;
• La comunicazione del rischio, che è un processo interattivo di scambio d’informazioni e pareri sul rischio tra i responsabili della valutazione del rischio, i gestori del rischio, e le altre parti interessate. In alcuni sistemi legislativi l’obbligo della depurazione o di altri mezzi di riduzione della contaminazione microbica post-raccolta è dettata dalla classificazione della zona di raccolta. Tale classificazione è eseguita sulla base del grado di contaminazione fecale (usando dei batteri indicatori) in un numero di campioni prelevati nel corso di un lungo periodo di tempo (un anno o più).
Nell’Unione europea, i requisiti sono contenuti nel regolamento CE N. 853/2004 che stabilisce le norme specifiche di igiene per gli alimenti di origine animale, mentre la classificazione delle zone di raccolta è specificato nel regolamento CE N. 854/2004 recante norme specifiche per l’organizzazione dei controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano. Questa classificazione è basata sui livelli di E. coli in campioni di molluschi bivalvi.

Le normative comunitarie contengono poche disposizioni dettagliate per quanto concerne il modo in cui la depurazione deve essere intrapresa. L’obbligo principale relativo al sistema stesso è che: “L’esercizio del sistema di depurazione deve consentire ai molluschi bivalvi vivi di riprendere e mantenere rapidamente l’attività filtrante di alimentazione per eliminare la contaminazione residua, non ricontaminarsi e mantenere la propria vitalità in condizioni idonee dopo la depurazione per il confezionamento, lo stoccaggio ed il trasporto prima di essere immessi sul mercato”.

Inoltre, si stabilisce che i molluschi bivalvi devono essere depurati ininterrottamente per un periodo sufficiente ad ottenere la conformità del prodotto finale allo standard microbiologico (E. coli < 230/100 g; assenza di Salmonella in 25 g). Gli stati membri dell’UE tendono a chiarire il modo in cui i principi di depurazione e gli altri criteri generali devono essere raggiunti tramite l’applicazione della legislazione nazionale ed il controllo delle procedure.
Negli Stati Uniti d’America, i requisiti per la depurazione sono indicati nel capitolo XV del decreto del programma nazionale di sanità dei molluschi bivalvi (National Shellfish Sanitation Program NSSP). Spetta ai singoli Stati dell’Unione attuare la legislazione seguendo le prescrizioni del decreto se i propri produttori vogliono commercializzare con altri Stati USA. Gli stessi requisiti si applicano ad altri paesi che desiderano commercializzare con gli Stati Uniti d’America. Negli Stati Uniti d’America, la classificazione delle zone di raccolta si basa sui livelli di coliformi fecali in campioni di acqua di mare. I requisiti di depurazione riportati nel NSSP sono più dettagliati rispetto alla legislazione dell’UE, con requisiti più specifici per la costruzione dei centri di depurazione, il loro funzionamento e la verifica del sistema di depurazione.

 RIMOZIONE DELLE CONTAMINAZIONI

Lo scopo primario della depurazione è la rimozione dei contaminanti microbici e questo è in gran parte raggiunto fornendo ai molluschi bivalvi le condizioni fisiologiche necessarie per la ripresa dell’attività di filtrazione e fornendo un flusso sufficiente e ininterrotto di acqua per permettere che il materiale depurato sia allontanato dai molluschi bivalvi. Tuttavia, la rimozione microbica, in particolare quella virale, non è sempre ottimale in una qualsiasi delle condizioni in cui i molluschi bivalvi riescono a filtrare. In particolare, nei climi temperati, le temperature dell’acqua necessarie per l’eliminazione dei virus sono ben al di sopra del valore minimo per l’attività di filtrazione. Inoltre, anche la rimozione di vibrioni marini non può essere raggiunta in queste condizioni e c’è il pericolo che l’innalzamento della temperatura aumenti addirittura la possibilità di proliferazione di vibrioni marini all’interno del sistema di depurazione.

EVITARE LA RICONTAMINAZIONE

Un requisito essenziale per evitare la ricontaminazione durante il processo di depurazione è l’applicazione del sistema “tutto pieno, tutto vuoto”, cioè evitare che i molluschi bivalvi siano aggiunti al sistema una volta che il ciclo di depurazione è stato avviato. Questo è necessario per prevenire che i molluschi bivalvi parzialmente depurati siano ricontaminati dal materiale espulso dai molluschi bivalvi immessi successivamente. Ciò impedisce anche che il materiale fecale sia risospeso durante l’aggiunta di ulteriori molluschi bivalvi. È necessario che l’acqua di mare sia pulita, sia quando deriva da una fonte primaria di prelievo, sia quando viene riciclata nel corso di un singolo ciclo di depurazione, o riutilizzata da un ciclo all’altro. È stato dimostrato che i batteri patogeni possono sopravvivere nelle feci e possono essere successivamente reimmessi nell’acqua di ricircolo. Ci si aspetta che la possibilità di ricontaminazione sia maggiore per i virus a causa della loro maggiore sopravvivenza in acqua di mare. Un flusso adeguato d’acqua all’interno del sistema è
necessario per garantire che le feci e le pseudofeci depurate vengano allontanate dai molluschi bivalvi. Tuttavia, soprattutto con i sistemi di ricircolo, il flusso deve consentire l’adeguato deposito del materiale depurato. Se il flusso è troppo forte il materiale verrà risospeso nell’acqua. I sistemi di disinfezione possono non essere sufficienti ad inattivare gli agenti patogeni prima che questi vengano riciclati e reingeriti. A questo proposito, il flusso di acqua deve essere in equilibrio tra quello necessario per l’adeguata filtrazione e la rimozione del materiale depurato e quello che consente il deposito dei materiali solidi. Alcuni grandi sistemi sono stati progettati con un flusso verso l’alto o verso il basso; il primo deve essere evitato, in quanto tenderà a mantenere il materiale depurato in sospensione. I sistemi di aerazione devono evitare la risospensione del materiale depurato; non dovrebbero quindi essere situati direttamente sotto, o avere impatto diretto sugli stessi molluschi bivalvi. La risospensione può verificarsi anche quando i molluschi bivalvi, o le vaschette o i cestelli in cui essi si trovano, vengono rimossi mentre l’acqua è ancora presente nel sistema. Per questo motivo lo scarico dell’acqua deve essere al di sotto dello strato più basso di molluschi.

MANTENIMENTO DELLA VITALITÀ E DELLA QUALITÀ

La vitalità e la qualità sono mantenute nei seguenti modi:
• Con la corretta manipolazione e conservazione dei molluschi bivalvi prima e dopo la depurazione, evitando urti e vibrazioni eccessive;
• Con la fornitura di un adeguato flusso di acqua e di ossigeno disciolto durante il processo di depurazione;
• Evitando le temperature troppo alte o troppo basse;
• Mantenendo ad un livello minimo, durante la depurazione, l’accumulo dei prodotti finali come l’ammoniaca.
La deposizione dei gameti nei molluschi bivalvi porta ad un loro indebolimento, di conseguenza i molluschi bivalvi che sono in questa fase non dovrebbero essere depurati. Quelli che eliminano i gameti nelle vasche dovrebbero essere riportati nelle zone di raccolta (se consentito dalle norme vigenti).

LIMITAZIONI DELLA DEPURAZIONE

La depurazione è stata sviluppata originariamente per rimuovere i contaminanti batterici dai molluschi bivalvi, principalmente la Salmonella typhi. In generale, un sistema di depurazione progettato correttamente e ben gestito permette la rimozione dei batteri indicatori di origine fecale (come l’E. coli) ed i patogeni (come la Salmonella). La depurazione si è invece dimostrata inefficace per la riduzione di alcune specie di Vibrio patogeni per l’uomo; anzi, se la salinità è ottimale (ad esempio 10-30 ppm) e la temperatura è sufficientemente elevata durante un ciclo di depurazione (ad esempio, oltre i 20 ° C) si può avere addirittura un aumento della concentrazione di vibrioni eventualmente presenti. Gli studi sull’efficacia della rimozione dei batteri durante la depurazione utilizzano molluschi bivalvi artificialmente contaminati con colture batteriche che tendono a mostrare un maggior grado di decontaminazione di quanto non avvenga nei molluschi bivalvi naturalmente contaminati. L’uso di tali contaminazioni per le indagini sui criteri di depurazione o per la convalida dell’efficacia dei sistemi commerciali è quindi discutibile.
Alcune ricerche nel nord Europa su ostriche del Pacifico (C. gigas) hanno dimostrato che durante la depurazione i virus vengono rimossi molto più lentamente di quanto avvenga con l’E. coli. Anche nei sistemi adeguatamente progettati e gestiti circa un terzo della carica virale iniziale rimarrà dopo 2 giorni di trattamento a 8°C. È vero che a temperature più elevate, ad esempio 18-21°C, i virus vengono rimossi dai molluschi bivalvi più velocemente, ma vi è comunque la possibilità che dopo 5-7 giorni di trattamento a tali temperature permangano residui virali, nonostante la contaminazione iniziale moderata. Considerato che la dose infettiva di questi patogeni virali sembri essere bassa, la depurazione non può essere considerata come il fattore primario di eliminazione del rischio, ma piuttosto come un processo che riduca in una certa misura il rischio di malattia da questi patogeni. Pertanto, è necessario ottimizzare la progettazione e la gestione dei sistemi per la depurazione anche per la rimozione di agenti patogeni e non solo per la semplice rimozione degli indicatori batterici quali l’E. coli. Non sono disponibili informazioni sulla depurazione dei virus dalle ostriche nei climi più caldi. I dati sulla depurazione dei mitili (Mytilus spp.), artificialmente contaminati con l’epatite A, indica che il periodo di depurazione necessario per la sua rimozione è anch’essa prolungata.



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