Trapianto di fegato e rene da madre a figlio, al Bambino Gesù la prima volta



Uno dei più diffusi è sicuramente il trapianto di fegato, che presenta una peculiarità. Proprio così. Per effettuarlo, infatti, non serve l’intero organo: il fegato, infatti, può rigenerarsi a partire da una sola porzione sana. Il fegato trapiantato quindi può essere donato sia da una persona compatibile vivente – come un familiare o un amico – sia da una persona compatibile deceduta.



Il gesto incredibile di una madre e un intervento unico a livello internazionale hanno ridato la speranza al piccolo Danil, bambino libanese due anni e mezzo, affetto da una malattia metabolica rara, che ha subito un doppio trapianto di rene e fegato all’ospedale Bambino Gesù di Roma. L’eccezionalità dell’intervento risiede nella chirurgia di prelievo dal genitore per la donazione: prima la porzione sinistra del fegato e successivamente il rene, entrambi con tecnica chirurgica laparoscopica. Il bimbo era affetto da iperossaluria primitiva, forma severa di una malattia metabolica rara nota come ossalosi (1 caso ogni 100 mila-333 mila persone), e caratterizzata dall’accumulo, in vari organi e tessuti, di ossalato di calcio. La patologia che aveva anche il piccolo bimbo libanese morto sull’aereo che da Beirut lo portava a Roma.

Il prelievo laparoscopico di rene da donatore vivente è una tecnica oramai da anni consolidata, mentre il prelievo del fegato laparoscopico è un intervento di più recente introduzione nei centri più specializzati. In Italia il Bambino Gesù è il solo che effettua il prelievo di fegato con tecnica laparoscopica. “Non ci risulta che siano stati mai descritti casi in cui nello stesso donatore sono stati eseguiti in successione un prelievo di fegato e un prelievo di rene laparoscopici. Quindi il nostro caso potrebbe essere il primo mondiale“, sottolinea l’ospedale romano. Il team di chirurghi che ha effettuato l’intervento sul piccolo Danil era coordinato da Marco Spada per il fegato e Luca dello Strologo per il rene.

Nel corso dell’ultimo anno il Bambino Gesù ha effettuato dal Libano 4 trapianti di fegato e rene in bambini affetti da ossalosi; negli ultimi 10 anni 11 pazienti con ossalosi (uno di questi non ha ancora completato il percorso con il trapianto di rene) sono stati trapiantati. “I vantaggi dell’uso della chirurgia laparoscopica sono rappresentati dalla significativa riduzione del traumatismo chirurgico che si traduce in riduzione dei tempi di degenza, ridotta necessità di terapia con farmaci antidolorifici, più rapido ritorno alla vita di relazione e lavorativa, ridotto rischio di sviluppo di complicanze di ferita – sottolineano gli esperti – Inoltre la laparoscopia, grazie alle tecnologie di immagine ad alta definizione (3K, 4K) e tridimensionale, consente durante l’intervento di avere una visone estremamente dettagliata delle strutture anatomiche, con maggiore precisione dell’atto chirurgico e minore rischio di sanguinamento”.

Tutti i casi trattati dal Bambino Gesù hanno avuto dialisi nel corso dell’intervento che è proseguita nei giorni successivi e sono andati tutti bene. “E’ ovvio che questi casi così complessi sono il risultato dell’alto volume di attività dei programmi di trapianto di fegato e di trapianto di rene da donatore cadavere e da donatore vivente dell’ospedale, che negli ultimi 24 mesi hanno visto la realizzazione di 98 trapianti di fegato o rene da donatore cadavere e 32 trapianti di fegato o rene da donatore vivente”, ricordano gli specialisti.

“Nello specifico abbiamo complessivamente trapiantato negli ultimi 10 anni 11 pazienti con ossalosi (uno di questi non ha ancora completato il percorso con il trapianto di rene). Questa attività – concludono gli esperti del Bambino Gesù – è resa possibile dalla presenza nel nostro ospedale di specifiche competenze pediatriche di: epatologia, nefrologia e dialisi, malattie metaboliche, chirurgia dei trapianti e urologica, anestesia e rianimazione, radiologia e endoscopia diagnostica e interventistica, anatomia patologica, oncologia, infettivologia, assistenza e coordinamento infermieristico e molte altre ancora. Questa concertazione è unica nel panorama dell’attività di trapianto di organi solidi in ambito pediatrico e ne fa uno dei centri leader a livello europeo e mondiale in questo settore”.

Il deposito di ossalato di calcio a livello renale comporta la formazione di calcoli che causano ostruzioni o infezioni delle vie urinarie e danno renale permanente, con necessità di dialisi. La sintomatologia delle forme più gravi comprende, oltre all’insufficienza renale, anche alterazioni delle ossa che possono compromettere la crescita staturale del bambino e favorire la comparsa di fratture per traumi di intensità minima. In questi casi, il percorso terapeutico prevede il doppio trapianto, contemporaneo o sequenziale, di fegato e rene: il trapianto del fegato permette di guarire il difetto metabolico, quello del rene di ripristinare la funzione renale.

Dal 1990 a oggi nel nostro Paese sono stati eseguiti circa un migliaio di trapianti di fegato pediatrico. Poiché la sopravvivenza a lungo termine è di circa l’80-90%, ne consegue che attualmente vi sono in follow-up diverse centinaia di bambini e adolescenti seguiti per questa condizione. Poiché tale procedura viene eseguita in pochi centri specializzati, spesso i pazienti seguono un programma condiviso tra centri trapianti, ospedali provinciali e pediatri di libera scelta. Nei primi tempi dell’era trapiantologica ci si è focalizzati soprattutto sui risultati e le complicanze a breve termine, ma dopo circa 25 anni di storia del trapianto ci troviamo a fronteggiare le problematiche di una condizione che, da una sfida chirurgica, si è trasformata in un complesso impegno clinico dedicato a quella che potremmo considerare una nuova patologia cronica. Il fatto che la maggior parte dei trapianti venga eseguita nei primi due anni di vita fa sì che molti pazienti non abbiano il ricordo dell’evento, né la percezione di essere diversi dagli altri. Spesso da ciò deriva la scarsa consapevolezza che il proprio trapianto è prezioso e fragile, e va preservato dai rischi del rigetto e delle abitudini di vita insalubri. Il pediatra oggi è chiamato ad affrontare queste situazioni, per cercare di preservare la funzione dell’organo trapiantato, ma anche per prevenire i possibili effetti che la malattia di base, la tossicità dei farmaci assunti e il vissuto di malattia del paziente possono avere durante la transizione all’età adulta e successivamente.

Introduzione Il trapianto di fegato in età pediatrica è oggi una pratica consolidata per il trattamento di malattie epatiche terminali. In passato era gravato da un’elevata mortalità in lista d’attesa, dovuta alla scarsità di organi compatibili. Dalla fine degli anni ’80 è stata messa a punto la tecnica dello split-liver, che consente di dividere il fegato in 2 porzioni di dimensioni diverse, adatte al trapianto di 2 riceventi: lo split destro, di maggiori dimensioni, utilizzabile per un ricevente adulto, e lo split sinistro (II-III segmento), che può essere adatto a un ricevente pediatrico. Grazie a questa tecnica, nonché alla possibilità di proporre il trapianto da donatore vivente, è stato possibile azzerare quasi completamente la mortalità in lista d’attesa. Un altro passaggio storico è rappresentato dall’introduzione dello score PELD, che consente un’allocazione degli organi in base alla gravità della malattia epatica dei riceventi e ne ha permesso una migliore selezione; lo score si basa su un algoritmo che considera diversi parametri (PT-INR, bilirubina, albumina, età, altezza) ed è predittivo di mortalità a breve termine . La principale indicazione al trapianto è rappresentata dall’atresia delle vie biliari, che rende conto di oltre il 70% dei casi pediatrici in Europa; seguono le altre patologie colestatiche, le malattie metaboliche, l’insufficienza epatica acuta, le neoplasie epatiche. Considerate le indicazioni, ne deriva che la maggioranza dei bambini riceve il trapianto entro i primi 2 anni di vita. Le maggiori mortalità e morbidità post-trapianto si verificano entro i primi 3 mesi; le principali cause di perdita dell’organo in questa fase sono: la “primary non function” (mancata ripresa di funzionalità dell’organo), la trombosi dell’arteria epatica, la trombosi della vena porta, la sepsi, l’insufficienza multiorgano. Altre possibili complicanze rilevanti sono rappresentate dal rigetto (acuto e cronico), da leak e stenosi biliari, dalle infezioni virali (CMV-EBV) e dall’insufficienza renale acuta. Dopo i primi mesi l’incidenza di complicanze tende a ridursi e la curva di sopravvivenza raggiunge un plateau, tanto che a 5 e 10 anni si osserva nelle diverse casistiche una sopravvivenza pari o superiore all’80%, come esemplificato nella figura 1. Dati gli ottimi risultati ottenuti in termini di aspettativa di vita, l’attenzione oggi si sposta sempre più verso l’outcome nel lungo termine e la qualità di vita del bambino trapiantato. Le complicanze chirurgiche tardive Il trapianto è un atto chirurgico di elevata complessità. Pertanto, anche a distanza di anni, è possibile lo sviluppo di complicanze chirurgiche. Un attento esame obiettivo, esami ematochimici e il monitoraggio ecografico consentono abitualmente un corretto orientamento diagnostico.

Trombosi/stenosi dell’arteria epatica Lievi alterazioni degli indici di citolisi epatica possono essere spia di un problema vascolare. Una trombosi tardiva dell’arteria epatica è spesso causa di sofferenza delle vie biliari, con conseguente incremento anche degli indici di colestasi. Il sospetto diagnostico, di solito ecografico, va confermato con TAC o RMN. Se il paziente è stabile e il fegato riceve un’adeguata irrorazione dai circoli collaterali può non essere necessario un trattamento, che eventualmente sarebbe in prima istanza di tipo radiologico interventistico (dilatazione/posizionamento di stent). Se sintomatica a distanza, la trombosi dell’arteria epatica rappresenta un’indicazione al ritrapianto. tica in questo caso sono tipicamente normali; comuni sono l’anemia e la piastrinopenia (da ipersplenismo). La diagnosi è di solito ecografica; il trattamento prevede la bonifica di eventuali varici (EGDS) e la possibilità di confezionare shunt porto-sistemici. Anche questo tipo di complicanza può rappresentare un’indicazione al ritrapianto nel lungo termine. Ostruzione della vena cava inferiore/vene sovraepatiche Si manifesta con ascite e/o enteropatia proteino-disperdente (ipoalbuminemia, diarrea). La diagnosi è di solito ecografica. La terapia consiste in angioplastica, con eventuale posizionamento di stent. Stenosi biliari Sono le complicanze a distanza più frequenti, con un’incidenza che varia dal 5 al 25%. Se la stenosi è singola, tipicamente si verifica nella sede dell’anastomosi (biliare o bilio-digestiva); le stenosi multiple sottendono spesso una causa ischemica (la trombosi/stenosi dell’arteria). Le possibili manifestazioni cliniche sono l’ittero, il prurito, gli episodi di colangite. Tipicamente si osserva un incremento di GGT e sali biliari; la diagnosi si basa sull’ecografia e la biopsia epatica. Il trattamento prevede di solito la colangiografia percutanea, con dilatazione della stenosi ed eventuale posizionamento di stent. Un intervento chirurgico può rendersi necessario in caso di fallimento del trattamento radiologico.



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