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Saviano a In Onda dopo la sentenza sul boss: “Mi hanno rubato la vita, oggi non lo rifarei”



Dopo una lunga battaglia giudiziaria durata sedici anni, si è concluso il processo che ha visto al centro delle accuse il boss Francesco Bidognetti e il suo legale Michele Santonastaso. Le condanne per minacce mafiose sono state confermate, ma per Roberto Saviano, protagonista e vittima di questa vicenda, il prezzo pagato per il suo impegno è stato altissimo. Lo scrittore di “Gomorra”, ospite del programma televisivo In Onda, ha espresso un bilancio amaro sulla sua scelta di denunciare il sistema criminale dei Casalesi, dichiarando: “Se potessi tornare indietro, non lo rifarei.”



Nel corso dell’intervista con Marianna Aprile e Luca Telese, Saviano ha ripercorso i momenti che hanno segnato il suo destino. La pubblicazione del libro “Gomorra” ha portato alla luce le dinamiche di un sistema mafioso che sembrava intoccabile, ma ha anche acceso i riflettori su di lui come bersaglio della criminalità organizzata. “Nel momento in cui tu porti un riferimento di Bidognetti è come se avessi acceso qualcosa”, ha spiegato lo scrittore, sottolineando come la sua denuncia abbia scatenato una reazione violenta da parte del clan.

Saviano ha ricordato alcune delle vittime della camorra, come Don Peppe Diana, il parroco ucciso per essersi opposto ai Casalesi, Federico Del Prete, sindacalista assassinato con un colpo in faccia, e altri rappresentanti delle istituzioni locali che hanno pagato con la vita il loro coraggio. “Nessuno s’era opposto”, ha detto Saviano, evidenziando quanto fosse pericoloso sfidare un sistema così radicato.

Nonostante le condanne definitive siano arrivate, il percorso personale dello scrittore è stato segnato da una vita sotto scorta, che lui stesso descrive come una “prigione”. La notorietà che lo ha protetto fisicamente gli ha però imposto una condanna sociale: “La mediaticità mi ha protetto, ma mi ha messo in gabbia. Come se qualcuno mi avesse detto: vuoi morire o vivere rinchiuso?”

Durante il processo, Saviano ha avuto modo di ascoltare intercettazioni che rivelavano la sua condanna a morte discussa come un affare ordinario. “Senti che in un incontro votano su di me. Chi dice: se lo facciamo è un problema. Chi dice: se non lo facciamo, gli altri ci considerano deboli. C’è un anonimo che dice: secondo noi non va fatto, ma se lo fate ci dobbiamo essere.” Queste parole mostrano la spietata logica che guida le decisioni dei clan e l’angoscia vissuta dallo scrittore nel sapere che la sua vita era considerata una pedina da giocare.

Se potesse tornare indietro, Saviano ammette che avrebbe scelto diversamente: “Io oggi non lo rifarei. Avrei smesso di fare queste cose.” Una confessione che riflette la consapevolezza di aver sacrificato la propria libertà personale per un ideale. Dopo sedici anni di scorta e isolamento, lo scrittore si interroga sulla possibilità di proteggersi in modi alternativi: “Dovevo fermarmi prima. Proteggermi in un’altra forma.”

Infine, Saviano ha lanciato una provocazione al boss Francesco Bidognetti, chiedendosi perché la camorra non abbia portato a termine la minaccia: “Perché non avete chiuso la partita? Perché vi siete cacati sotto?” Una domanda che rivela l’amarezza di chi si sente intrappolato in un limbo tra vita e morte.

La vicenda giudiziaria si è conclusa con le condanne definitive, ma per Roberto Saviano, il prezzo pagato va ben oltre le aule di tribunale. La sua storia rimane un simbolo del coraggio e delle conseguenze personali che derivano dal denunciare la criminalità organizzata.



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